A che punto è la morte di Amedeo Caruso: perdono, assoluzione letteraria e promessa d’amicizia

Ho ricevuto e, con il benevolo consenso dello scrittore Pino Imperatore, pubblico:

Caro Amedeo,

innanzitutto perdonami per averti fatto morire. Non avrei neanche lontanamente immaginato che tu fossi una persona così brillante e briosa e un professionista di così chiara fama. La prossima volta non lo farò più…

Ma ora che ci penso, essendo tu già defunto, non potrei, fatta salva una tua ipotetica resurrezione, farti morire una seconda volta, anche perché troverei deontologicamente scorretto ammazzare un uomo morto. La mia etica me lo impedirebbe, credimi.

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Una recensione psicoanalitica davvero “personale” del giallo napoletano Aglio, olio e assassino di Pino Imperatore

ovvero: Elogio del mio assassino

Tutto è cominciato con una divertita telefonata ricevuta da una mia ex assistita (io preferisco definire “assistiti” i pazienti con me in cura medica o psicoanalitica), la cui psicoterapia ha sortito effetti gratificanti per entrambi, e, nonostante la lontananza geografica, siamo rimasti in ottimi rapporti che coltiviamo via email. Dunque qualche settimana fa, la signora Mavà (la chiamerò così perché era un suo ricorrente e sorridente intercalare) mi annuncia, assai divertita e ironica, che ha appena letto che sono stato assassinato! …in un romanzo giallo, però, si affretta ad aggiungere, insieme al fatto che questo libro viene venduto con appena un paio di euro in più insieme a un quotidiano. Mi augura una buona estate e mi consiglia la lettura, secondo lei piacevole, di questo volume, il cui autore è Pino Imperatore, sul quale mi documento, giustamente incuriosito, con rapidità. In serata trovo subito il libro presso l’edicola più vicina a casa mia. Pur avendo in cantiere questa estate una mole notevole di lavoro, non rinuncio all’intrigante idea di macinare un po’ di pagine di questo voluminoso noir; e, come fanno in genere i lettori “seriali”, controllo subito il numero totale delle pagine, senza provare a mettere a fuoco nient’altro dell’ultima pagina, che in questo caso porta il numero 361. Va bene, mi sono detto, cominciamo col leggiucchiare un pochino e vediamo se la storia mi prende.

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Italiani tutti verdiani – Recensione Festival Verdi 2017

Appena tornati da Parma, dove abbiamo assistito a due rappresentazioni verdiane in occasione del festival, leggiamo che è stato scoperto un tesoro segreto del grande Giuseppe, contenente trentasei lettere tra Verdi e Cammarana riguardo la composizione delle sue opere, la più antica bozza dell’Ernani e diverse fotografie autografate. Secondo il musicologo e professore universitario Fabrizio Della Seta, forse questa “riemersione”, che verrà messa all’asta il 26 ottobre di quest’anno, potrebbe rendere necessaria addirittura una nuova e diversa edizione dei carteggi verdiani (già pubblicata nel 2001 a cura di Carlo Matteo Mossa). Il proprietario di questi preziosi documenti resta anonimo e forse resterà tale anche dopo la vendita a Londra da Sotheby’s, che si preannuncia affollata e ambita (il valore stimato è di circa trecentomila euro). Continua a leggere Italiani tutti verdiani – Recensione Festival Verdi 2017

Eterno Aznavour – recensione al concerto del 23 luglio a Roma

Roma, Auditorium 23 luglio 2017

Nemmeno Sinatra, che resterà un vero sole nella costellazione della musica, ha scritto le sue canzoni, così come ha fatto invece Charles Aznavour, definito il Sinatra francese, che ha creato oltre mille canzoni di cui alcune memorabili e sicuramente più durature nel tempo di tutti i libri di Arbasino e di Albinati (riascoltate per favore anche solo i versi di Io tra di voi, Lei, L’istrione, Com’è triste Venezia, Morir d’amore, Quel che non si fa più e non potrete che darci ragione). Continua a leggere Eterno Aznavour – recensione al concerto del 23 luglio a Roma

Papa-pop-soap-opera – Recensione a The Young Pope di Paolo Sorrentino

Vita, avventure e miracoli del giovane pontefice di Sorrentino

Il regista della Grande Bellezza ha realizzato una splendida collana composta da dieci pietre preziose di uguale caratura e durata (all’incirca 60 minuti l’una) che abbiamo avuto modo di vedere subito dopo la proiezione in anteprima delle prime due puntate alla Mostra del Cinema di Venezia del 2016, cui siamo mancati per ragioni strettamente personali e dolorose. Continua a leggere Papa-pop-soap-opera – Recensione a The Young Pope di Paolo Sorrentino

Cognome e nome: Padre Eterno – psicorecensione al film Dio esiste e vive a Bruxelles

Autore di appena quattro lungometraggi in venticinque anni, più sette corti in cinque anni (tra il 1981 e il 1985) e ancora un episodio del film Lumière and Company nel 1995, Jaco Van Dormael – belga, classe 1957 – brilla tra le stelle più luminose, ironiche e intelligenti della volta celeste cinematografica europea. Con il suo nuovo film ci ha trasportati in un viaggio fantastico e divertente, come solo hanno saputo fare finora il Federico Fellini di Amarcord e il Tim Burton di Big Fish. Con Jaco, finalmente, abbiamo appreso tre cose importanti: che Dio esiste, cosa fa e dove abita. E tutto questo viene trattato con leggerezza e sarcasmo, con originalità e simpatia fattesi pellicola. Viene proprio da Bruxelles questa voce cinematografica così rara e speciale, in mezzo a un magma di film contemporanei, che peccano di presunzione artistica e sono monchi d’idee e di giocosità. Sembra una nemesi storica che dalla stessa città che è stata negli ultimi tempi, insieme a Parigi, una delle più strettamente sorvegliate e preoccupanti per ragioni terroristiche, si sviluppi la storia del film che ha per interpreti nientepopodimeno che il signor Dio (Benoît Poelvoorde), la sua compagna (Yolande Moreau) e quella monella di sua figlia Ea (Pili Groyne). Continua a leggere Cognome e nome: Padre Eterno – psicorecensione al film Dio esiste e vive a Bruxelles

Io l’avevo detto! Recensione del film Tom à la ferme

Finalmente nelle sale Tom à la ferme di Xavier Dolan, da noi segnalato già nel 2013 come un vero diamante cinematografico (Manifesto del Movimento Psicofuturista)

Eccoci a una vera rivelazione. Tom à la ferme. La rivelazione riguarda l’attore nonché regista di questo film, Xavier Dolan, che è nato a Montreal nel 1989, e già nel 2009 ha debuttato con la sua opera prima J’ai tué ma mére. Quest’ultimo e i seguenti Les amours imaginaires (2010) e Laurence Anyways (2012) hanno ricevuto premi e riconoscimenti a bizzeffe. Il primo, addirittura, è stato candidato all’Oscar. Ricordate il titolo di questo film e tenete a mente il suo autore. Anche qui si tratta di un funerale, ma del suo amante. Giunto in fattoria, dove il giovane defunto abitava, il protagonista viene minacciato dal fratello che non vuole si sappia che il ragazzo era omosessuale, sia per il paese che per la madre. Così, insieme, ingaggiano una ragazza amica di Tom, che arriva nella casa per vestire la parte della fidanzata. Ma il gioco comincia a diventare violento e perverso. La fanciulla scappa non prima di aver ceduto alle voglie del fratellaccio, che si rivela però sempre più incline all’amore omosessuale, anzi maschera, attraverso le lotte, tentativi infantili di amplessi con Tom. Dopo il ballo del Conformista di Bertolucci e quello del Gattopardo di Visconti, abbiamo già situato, in terza posizione stabile, il tango dei due nella stalla. Cinema puro a 24 carati. Indimenticabile. Tutti in paese sanno che madre e figlio sono abbastanza strani e antipatici, ma Tom riceverà una conferma definitiva sulla malvagità bieca del fratello del suo amante, da un barista che gli racconta una storia che ha a che vedere con Victor Hugo ed un suo famosissimo romanzo. Nipotino degno di Hitchcock e figlio legittimo del migliore Malick (quello di La rabbia giovane e de I giorni del cielo), Xavier Dolan vi terrà appassionatamente avvinghiati alla poltrona del primo cinema in cui lo incontrerete. Rivelarvi di più, significherebbe rovinarvi la visione. Ma fidatevi e affidatevi (con un po’ di sana suspense) a questo gioiello di celluloide.

Taxi Teheran – Un coraggioso tappeto volante giallo in giro per il mondo

La Serenissima Leonessa, divoratrice di celluloide, quest’anno ci ha accolto con una sorpresa fuori programma insperata e molto apprezzata. Il festival comincerà tra un paio di giorni, ma noi siamo già qui per incontrare gli amici veneziani che vediamo sempre – almeno annualmente – in occasione della Mostra del Cinema e che da qui salutiamo. Al cinema Giorgione proiettano Taxi Teheran di Jafar Panahi, che potrebbe già bastare da solo a farci ancora più convinti che il cinema fa bene, aiuta a riflettere e, se abbiamo un cuore, ce lo rende più forte e capace di coraggiose e generose azioni. Il film ha già vinto, lo sappiamo, l’Orso d’Oro a Berlino, ma potrebbe essere un vincitore ideale ex-aequo con qualunque film che conquisterà il Leone d’oro di questa edizione. Vale la pena che ne parliamo, affinché non ve lo perdiate, ovunque voi siate, ovunque lo troviate. Intanto è una dimostrazione pratica di come la creatività sia il motore più potente di ogni operazione artistica, e poi di quanto possa costare poco la realizzazione di un film se fatto con passione, ingegno e motivazione. La motivazione è quella di un regista inviso al suo governo, al quale da’ non poco fastidio, da parecchi anni ormai. Ma non demorde. Lo hanno condannato con divieto di fare film per un ventennio (come il periodo in cui er puzzone faceva tremare tutta Roma), messo dentro e fuori la prigione per vari mesi, nell’arco di un paio di anni, dopo processi burletta e accuse per noi assurde. Ma niente e nessuno lo fermano. Il pacifico Panahi è riuscito non solo a girare in clandestinità due film dopo le pene comminate, ma ha avuto la forza di farli uscire dal suo Paese e mostrarli al mondo intero (This is Not a Film del 2011 e Closed Curtain del 2013). E così ha fatto con questo terzo film, che rappresenta una vera e propria dichiarazione d’arte poetica cinematografica, ma anche una carta di celluloide volta a difendere i diritti dell’uomo e della donna in Iran e in tutto il mondo.

Panahi stesso è il guidatore di un taxi giallo. Così ha risparmiato su un altro attore e ha servito la sua causa perfettamente. Allora, la creatività… Già, perché in Taxi Teheran – film molto fuori degli schemi – anche di creatività, di originalità si tratta. Tanti anni fa il nostro indimenticabile inimitabile Alberto Sordi, girò ben due film (uno nel 1983 e l’altro nel 1987) come attore protagonista e da regista, intitolati Il tassinaro e Un tassinaro a New York, ricordate? Beh, si potrebbe dire: Guarda questo Panahi, ha rubato l’idea al nostro Albertone e il suo film non ha niente di originale! Ebbene, a parte l’idea del taxi (giallo anche questo) carpita all’ottimo Sordi, questo film è una vera gemma abbagliante, anzi un’esplosiva mistura di cinema ultrarealista con attori non professionisti e dialoghi che daranno di sicuro nuovi problemi in patria al regista ed ai suoi interpreti… o forse, invece, gli impediranno guai ulteriori, ed è quel che speriamo. Gli ottantadue minuti del film scorrono veloci quanto possono durare quattro o cinque corse di un vero taxi. Il tenace Panahi prende a bordo di volta in volta dei personaggi, che gli consentono di esporre, indirettamente, le gravi difficoltà che affliggono le menti e i corpi degli umani pensanti. Ci piace pensare e sottolineare però che, sebbene il governo e le leggi iraniane siano quelle che siano, il discorso riguarda anche noi popoli che ci crediamo liberi e forse tanto liberi non siamo. Decidete voi quando vedrete questo film scarno, povero, ironico, intelligente, che nell’alternarsi dei clienti del taxi, fa una panoramica cruda e spietata delle vessazioni e della cecità di un potere che soffoca le menti e incarcera i corpi, ma, suo malgrado, ipertrofizza la creatività degli artisti e nutre gli animi del popolo di forza e coraggio operativi. Posta una telecamera all’interno dell’auto, che spesso lo inquadra, il granitico regista (ha deciso di non scappare dalla sua patria e non è potuto andare a ricevere l’Orso d’oro a Berlino (lo ha ritirato la nipotina al suo posto), ma quanto gli costa ai dittatori…?) ospita insieme – succede come a Cuba, non puoi avere il taxi tutto per te – un borseggiatore reazionario e tagliagole e una dolce maestra che sa il fatto suo e gliene canta quattro. Quindi sale un venditore di dvd pirata col quale l’autista intrattiene un discorso sul cinema straniero proibito, che però viene diffuso largamente e senza sosta, perché la sete di conoscenza aumenta con il divieto di bere alla sorgente della cultura. Ecco due magnifiche signore anziane che sono in missione catartica, in quanto devono liberare due pesci rossi in una vasca a scopo propiziatorio, ma la sfera di vetro si rompe e devono fare tutto con urgenza. Di forte impatto è il momento in cui il taxi viene bloccato perché c’è stato un incidente e un uomo giace a terra ferito e sanguinante. Il nostro cinetaxi conduce il moribondo e la moglie verso l’ospedale e l’aspetto più drammatico viene sottolineato dal fatto che l’uomo chiede costantemente di poter fare testamento a favore della moglie, e la donna prega il tassista di essere testimone della richiesta e gli telefonerà in seguito più volte, per accertarsi che potrà chiamarlo in causa. Perché? La ragione è presto detta: l’eredità dell’uomo, morendo senza figli e senza testamento, passerebbe alla famiglia di lui e la povera donna sarebbe costretta a una vita grama, che nella maggior parte dei casi conduce le vedove alla prostituzione. Questa è la legge del posto. L’episodio più birichino è quello che vede protagonista la bravissima giovanissima attrice Hana Saeid, che impersona nel film se stessa, la nipotina del taxista (buon sangue cinematografico…pellicola che non mente!) che bacchetta lo zio in base agli insegnamenti delle sue maestre a proposito di ciò che è giusto o ingiusto fare. E soprattutto assistiamo a una lezione di cinema nel cinema, perché la ragazzina dalla lingua lunga e dal cervello agile, ha anche una fotocamera che riprende lo zio. A Teheran i bambini fanno sì scuola di cinema, ma sono indottrinati a senso unico, peccato! Infine, ecco l’avvocato, che deve essere sicuramente il vero avvocato del nostro regista-eroe. Si tratta di una donna che reca in braccio un fascio di rose e discetta sapientemente col guidatore a proposito dei diritti umani. A fine corsa lascerà una rosa rossa a simbolo di delicata ma irresistibile insurrezione permanente contro i soprusi. Capiamo che qualche delatore ha avuto la sua parte nelle traversie del regista, forse qualcuno che si dichiarava suo amico, da un breve incontro che fa il taxi cineasta con un suo amico. Purtroppo così va il mondo, ma sembra esserci sempre qualcuno, per fortuna, che riesce a capire e perdonare e soprattutto – come nel caso di Panahi – a far venir fuori da una tragedia un’opera d’arte. Lunga vita a questo strabiliante cineasta. Dunque la visione di questo film è altamente raccomandata se volete mantenervi vivi, vigili e vegeti. E, se ce la fate, andatevi a cercare gli altri film di questo caparbio umile titano del cinema. Se volete farli vedere anche ai vostri figli o nipoti, caldamente consigliati sono Il palloncino bianco e Offside: li farete forti e felici.

L’armadio dei Sogni – visita alla mostra I vestiti dei sogni – La scuola dei costumisti italiani per il cinema

Che fortuna abitare a Roma. A Roma tutti i sogni diventano desideri. E tutti i desideri – culturali almeno – vengono esauditi. Accade così che dopo la visione, ieri sera, di un meraviglioso docufilm dedicato a Truffaut, Le Spectacle Interieur, realizzato da Vittorio Giacci e proiettato in visione privata per i simpatizzanti e i soci del Centro Studi Psiche Arte e Società presso un’enoteca da sogno in via delle Quattro Fontane, sotto le volte costruite dal Borromini, ci svegliamo oggi pronti a visitare una mostra “avvolgente” dal titolo intrigante per lo psicofuturista: I vestiti dei sogni. Si tratta di un lungo Continua a leggere L’armadio dei Sogni – visita alla mostra I vestiti dei sogni – La scuola dei costumisti italiani per il cinema