Roma, Auditorium 23 luglio 2017
Nemmeno Sinatra, che resterà un vero sole nella costellazione della musica, ha scritto le sue canzoni, così come ha fatto invece Charles Aznavour, definito il Sinatra francese, che ha creato oltre mille canzoni di cui alcune memorabili e sicuramente più durature nel tempo di tutti i libri di Arbasino e di Albinati (riascoltate per favore anche solo i versi di Io tra di voi, Lei, L’istrione, Com’è triste Venezia, Morir d’amore, Quel che non si fa più e non potrete che darci ragione). Paragonabile nella sua creatività di cantautore soltanto ad astri come Leonard Coen, Bob Dylan, le coppie Lennon-McCartney e Jagger-Richards, e i nostri Paolo Conte, Lucio Dalla, Gino Paoli, Luigi Tenco, Enzo Jannacci, Lucio Battisti, ha avuto un successo stratosferico: si parla di oltre trecento milioni di dischi venduti, anche se il dato non è verificabile. Riesce a cantare, e bene, in “appena” sei lingue (francese, inglese, italiano, spagnolo, tedesco e russo) e cercatevi Napule amica mia, la versione tradotta in napoletano da Casaburi e Chiaravalle della sua Allez Vai Marseille che lui interpreta con un accento come un Peppino di Capri o il Fred Bongusto che avessero soggiornato a lungo a Parigi… assolutamente imperdibile!
Ed eccolo qui, nella Cavea dell’Auditorium romano, con una platea sparuta e semivuota, dato il costo, e riempita sicuramente da almeno metà di inviti gratuiti (more capitolino); ma con un pienone nelle alte ali più economiche e purtroppo lontane dal palco dove Aznavour e company (otto in tutto tra musicisti e cantanti, inclusa la figlia Katia con cui duetterà in una canzone soltanto) si esibiscono. Anche la parte centrale alta della Cavea non è pienissima, mentre c’è alta densità di pubblico nelle semicurve. Forse è ancora una buona occasione per chiedersi e chiedere agli organizzatori come mai i costi siano così sostenuti e ai tempi d’oggi ahimè insostenibili, anche per i sessantenni che gremivano solo i posti meno cari.
Muniti di binocolo, anche se in una postazione ottimale, lo rivediamo magro e bianco come lo conoscemmo nel 2000 allo Shaftesbury Theatre di Londra, dove aveva soltanto qualche capello nero in più. Era il 6 aprile e esordiva con il musical Lautrec da lui scritto e prodotto, sulla vita del famoso pittore francese, che in fondo un po’ gli assomiglia per statura ed originalità di vita. Lo spettacolo fu un tonfo, anche se confessiamo che non ci dispiacque, e le musiche sono comunque introvabili, perché mai giunte alla distribuzione. Non c’era molta gente neanche alla prima e, poiché il nostro istinto giornalistico si giovava già di una “psicologica” faccia tosta, lo avvicinammo per complimentarci, ma si capiva che non era affatto soddisfatto dello spettacolo e deluso dalla tiepida accoglienza del pubblico, tanto che il musical chiuse i battenti prestissimo. Fu però conversativo ed amabile, mentre noi ci si destreggiava tra francese e inglese per comunicare con lui. Era contento che un italiano fosse lì e che apprezzasse la sua musica e questo tentativo di trasporre in modo musicale la vita del più grande cantore pittorico della Belle Époque. Gli dicemmo che la sua musica faceva sognare bene anche gli psicoanalisti e si è fatto una risata, sussurandoci che dovevamo saperla lunga sulla psi, come la chiamano i francesi e così ci qualificammo. Gli abbiamo anche proclamato senza timori che uno dei nostri film preferiti di Truffaut è quello che ha lui come protagonista, Tirez sur le pianiste e ci rispose: “Oh, ma questa è una storia di tanti anni fa…” lasciandoci capire che bisogna guardare solo al futuro, sia nella vita che nel lavoro. Ed eccoci qui entrambi di nuovo piuttosto vicini (ci separano non più di trenta metri), tutti e due sempre al lavoro, anche se per entrambi è sempre un divertimento. Inutile blaterare su qualche stecca che ha preso, in fondo si tratta di un cantante di 93 anni e di una caratura rarissima, dunque gli si può perdonare tutto, l’importante è che ci faccia provare nuovamente i brividi attraverso le parole e le musiche che conosciamo a memoria e insieme a noi buona parte del pubblico. Non poche canzoni vengono interpretate in italiano e questo piccolo genio ha anche la sfrontatezza di accennare più volte passi di danza non facili.
Chahnourh Varinag Aznavourian, di origini armene (vedetevi il film Ararat sul genocidio armeno del 1915, che ha interpretato nelle vesti del regista), ha anche scritto due bei libri sulla sua vita e sulla sua carriera. Quando indossiamo qualcuno dei nostri abiti quasi vintage, firmati Ted Lapidus, pensiamo sempre con divertita nostalgia ad Aznavour e alla storia che racconta nel libro I Giorni Prima su questo stilista che gli ha confezionato gli abiti fin dall’inizio della sua carriera e a cui il cantante è rimasto fedelissimo. Sarà sempre di Ted (morto nel 2008) questo suo questo vestitino nero così elegante, da cui toglie quasi subito la giacca, restando in camicia nera e bretelle rosso-diavolo che civettano con le calze ugualmente fiammanti che mostra quando raramente siede su un alto sgabello per cantare? Dobbiamo però deprecare questa scortesia di conversare in francese (come se tutti in Italia lo capissero) tra una canzone e l’altra, senza una fattibile e semplicissima traduzione magari fatta insieme a lui da un interprete (ma d’altronde anche Elvis Costello nel suo ultimo concerto romano, si è comportato ugualmente, neanche fosse a Liverpool). Queste cattive abitudini sono mal sopportabili (ve lo immaginate Paolo Conte che all’Olympia si fosse messo a parlare in astigiano tra una canzuncella e l’altra? Temiamo che i nostri “galli” d’oltralpe lo avrebbero sbranato. E invece il buon Paolo ha parlato in francese per quel che poteva, cosa che non sarebbe stata difficile neanche per il buon vecchio Charlie. Purtroppo le cose vanno così e non meravigliamoci poi se Micron (già, non volevamo proprio dire Macron), ci nega gli aiuti per le migliaia di sbarchi quotidiani di poveri emigranti sulle nostre coste. Ma usciamo dal concerto contenti. Abbiamo riascoltato in un’oretta e mezza uno degli ultimi dinosauri della musica leggera ma impegnata. E poi abbiamo tutti i suoi dischi, nella loro perfetta esecuzione, da poter sentire magari in bella e buona compagnia ancora e ancora. Neanche Sinatra, che ascoltammo a Roma quando aveva settantadue anni, fu esente da qualche esitazione vocale, e proprio per questo abbiamo deciso che tutti e due ci fanno sentire così giovani che siamo corsi a riascoltare la notte stessa dopo la performance il loro You Make Me Feel So Young dai Duets di Sinatra del 1993… E poiché siamo degli psicoanalisti brontoloni, abbiamo anche capito perché non troviamo più il programma del musical con l’autografo che ci fece Aznavour quella sera a Londra. C’era scritto così: Amitié e poi uno scarabocchio, eppure l’abbiamo tenuto caro per tanti anni. Anni dopo abbiamo incontrato in un piacevole dopo-teatro Philippe Noiret, che ci ha scritto la stessa cosa… Amitié e una firmettina. Infine, dopo uno spettacolo emozionante a Parigi al Teatro Bouffes du Nord, la ancor bellissima Marina Vlady (quella che secondo la fantastica canzone omonima di Giorgio Conte è una figa madornale) ha scritto sul suo libro Vladimir ou le vol arrêté, che avevo appena acquistato, dopo la sua esibizione, la stessa originalissima parola…
Lunga vita e… amitié, con stima perpetua per questo insuperabile chansonnier… tou(r)jours Aznavour!
PS: Ci complimentiamo vivamente con il servizio d’ordine e di sicurezza che nel tentativo disperato ed inutile di sequestrare, facendoli lasciare al deposito, tutti i tablet possibili, è riuscito a fare uno splendido buco nell’acqua in quanto – a parte il mio – non sono riusciti affatto nell’intento, prova ne sia che diverse canzoni del concerto sono visibili su YouTube e il concerto era disturbato dai soliti idioti che invece di guardare pensano a videoregistrare sotto il naso dei preposti al controllo che si godevano beatamente il concerto. E ancora complimenti per l’arroganza e la maleducazione che li ha distinti quando abbiamo chiesto di parlare col responsabile che poi non è mai arrivato. Intanto un distinto signore non vedente non ha avuto nessuna assistenza per raggiungere il suo posto, data la pericolosità del percorso, se non dopo molte proteste della sua accompagnatrice e di molti del pubblico. Forse farebbero bene a far seguire a questi signori un corso di buona educazione prima di insegnargli a fare i controlli.