La Serenissima Leonessa, divoratrice di celluloide, quest’anno ci ha accolto con una sorpresa fuori programma insperata e molto apprezzata. Il festival comincerà tra un paio di giorni, ma noi siamo già qui per incontrare gli amici veneziani che vediamo sempre – almeno annualmente – in occasione della Mostra del Cinema e che da qui salutiamo. Al cinema Giorgione proiettano Taxi Teheran di Jafar Panahi, che potrebbe già bastare da solo a farci ancora più convinti che il cinema fa bene, aiuta a riflettere e, se abbiamo un cuore, ce lo rende più forte e capace di coraggiose e generose azioni. Il film ha già vinto, lo sappiamo, l’Orso d’Oro a Berlino, ma potrebbe essere un vincitore ideale ex-aequo con qualunque film che conquisterà il Leone d’oro di questa edizione. Vale la pena che ne parliamo, affinché non ve lo perdiate, ovunque voi siate, ovunque lo troviate. Intanto è una dimostrazione pratica di come la creatività sia il motore più potente di ogni operazione artistica, e poi di quanto possa costare poco la realizzazione di un film se fatto con passione, ingegno e motivazione. La motivazione è quella di un regista inviso al suo governo, al quale da’ non poco fastidio, da parecchi anni ormai. Ma non demorde. Lo hanno condannato con divieto di fare film per un ventennio (come il periodo in cui er puzzone faceva tremare tutta Roma), messo dentro e fuori la prigione per vari mesi, nell’arco di un paio di anni, dopo processi burletta e accuse per noi assurde. Ma niente e nessuno lo fermano. Il pacifico Panahi è riuscito non solo a girare in clandestinità due film dopo le pene comminate, ma ha avuto la forza di farli uscire dal suo Paese e mostrarli al mondo intero (This is Not a Film del 2011 e Closed Curtain del 2013). E così ha fatto con questo terzo film, che rappresenta una vera e propria dichiarazione d’arte poetica cinematografica, ma anche una carta di celluloide volta a difendere i diritti dell’uomo e della donna in Iran e in tutto il mondo.
Panahi stesso è il guidatore di un taxi giallo. Così ha risparmiato su un altro attore e ha servito la sua causa perfettamente. Allora, la creatività… Già, perché in Taxi Teheran – film molto fuori degli schemi – anche di creatività, di originalità si tratta. Tanti anni fa il nostro indimenticabile inimitabile Alberto Sordi, girò ben due film (uno nel 1983 e l’altro nel 1987) come attore protagonista e da regista, intitolati Il tassinaro e Un tassinaro a New York, ricordate? Beh, si potrebbe dire: Guarda questo Panahi, ha rubato l’idea al nostro Albertone e il suo film non ha niente di originale! Ebbene, a parte l’idea del taxi (giallo anche questo) carpita all’ottimo Sordi, questo film è una vera gemma abbagliante, anzi un’esplosiva mistura di cinema ultrarealista con attori non professionisti e dialoghi che daranno di sicuro nuovi problemi in patria al regista ed ai suoi interpreti… o forse, invece, gli impediranno guai ulteriori, ed è quel che speriamo. Gli ottantadue minuti del film scorrono veloci quanto possono durare quattro o cinque corse di un vero taxi. Il tenace Panahi prende a bordo di volta in volta dei personaggi, che gli consentono di esporre, indirettamente, le gravi difficoltà che affliggono le menti e i corpi degli umani pensanti. Ci piace pensare e sottolineare però che, sebbene il governo e le leggi iraniane siano quelle che siano, il discorso riguarda anche noi popoli che ci crediamo liberi e forse tanto liberi non siamo. Decidete voi quando vedrete questo film scarno, povero, ironico, intelligente, che nell’alternarsi dei clienti del taxi, fa una panoramica cruda e spietata delle vessazioni e della cecità di un potere che soffoca le menti e incarcera i corpi, ma, suo malgrado, ipertrofizza la creatività degli artisti e nutre gli animi del popolo di forza e coraggio operativi. Posta una telecamera all’interno dell’auto, che spesso lo inquadra, il granitico regista (ha deciso di non scappare dalla sua patria e non è potuto andare a ricevere l’Orso d’oro a Berlino (lo ha ritirato la nipotina al suo posto), ma quanto gli costa ai dittatori…?) ospita insieme – succede come a Cuba, non puoi avere il taxi tutto per te – un borseggiatore reazionario e tagliagole e una dolce maestra che sa il fatto suo e gliene canta quattro. Quindi sale un venditore di dvd pirata col quale l’autista intrattiene un discorso sul cinema straniero proibito, che però viene diffuso largamente e senza sosta, perché la sete di conoscenza aumenta con il divieto di bere alla sorgente della cultura. Ecco due magnifiche signore anziane che sono in missione catartica, in quanto devono liberare due pesci rossi in una vasca a scopo propiziatorio, ma la sfera di vetro si rompe e devono fare tutto con urgenza. Di forte impatto è il momento in cui il taxi viene bloccato perché c’è stato un incidente e un uomo giace a terra ferito e sanguinante. Il nostro cinetaxi conduce il moribondo e la moglie verso l’ospedale e l’aspetto più drammatico viene sottolineato dal fatto che l’uomo chiede costantemente di poter fare testamento a favore della moglie, e la donna prega il tassista di essere testimone della richiesta e gli telefonerà in seguito più volte, per accertarsi che potrà chiamarlo in causa. Perché? La ragione è presto detta: l’eredità dell’uomo, morendo senza figli e senza testamento, passerebbe alla famiglia di lui e la povera donna sarebbe costretta a una vita grama, che nella maggior parte dei casi conduce le vedove alla prostituzione. Questa è la legge del posto. L’episodio più birichino è quello che vede protagonista la bravissima giovanissima attrice Hana Saeid, che impersona nel film se stessa, la nipotina del taxista (buon sangue cinematografico…pellicola che non mente!) che bacchetta lo zio in base agli insegnamenti delle sue maestre a proposito di ciò che è giusto o ingiusto fare. E soprattutto assistiamo a una lezione di cinema nel cinema, perché la ragazzina dalla lingua lunga e dal cervello agile, ha anche una fotocamera che riprende lo zio. A Teheran i bambini fanno sì scuola di cinema, ma sono indottrinati a senso unico, peccato! Infine, ecco l’avvocato, che deve essere sicuramente il vero avvocato del nostro regista-eroe. Si tratta di una donna che reca in braccio un fascio di rose e discetta sapientemente col guidatore a proposito dei diritti umani. A fine corsa lascerà una rosa rossa a simbolo di delicata ma irresistibile insurrezione permanente contro i soprusi. Capiamo che qualche delatore ha avuto la sua parte nelle traversie del regista, forse qualcuno che si dichiarava suo amico, da un breve incontro che fa il taxi cineasta con un suo amico. Purtroppo così va il mondo, ma sembra esserci sempre qualcuno, per fortuna, che riesce a capire e perdonare e soprattutto – come nel caso di Panahi – a far venir fuori da una tragedia un’opera d’arte. Lunga vita a questo strabiliante cineasta. Dunque la visione di questo film è altamente raccomandata se volete mantenervi vivi, vigili e vegeti. E, se ce la fate, andatevi a cercare gli altri film di questo caparbio umile titano del cinema. Se volete farli vedere anche ai vostri figli o nipoti, caldamente consigliati sono Il palloncino bianco e Offside: li farete forti e felici.