Caruso è il confessore laico e moderno, compassionevole e indulgente: non fa prediche, ma ragionamenti, non dispensa penitenze ma speranze, non chiede contrizioni ma introspezioni. È un igienista mentale al quale la professionalità impone di non giudicare i suoi interlocutori, ma di assisterli e magari stimolarli anche con citazioni e riferimenti letterari e culturali (da Croce, Leopardi, Eco, Omero, Borges e Tolstoj fino a Clint Eastwood, Polanski Fassbinder e Verdone). Insomma Caruso non è un pastore d’anime, ma un postino dell’anima …
Autore: Amedeo Caruso
Caro Papà
A differenza di memorie pittoresche, ghiotte e aneddotiche come quelle di Sybille Lacan o di Martin Freud, figli di notissimi padri, e non figli d’arte, questi ricordi di un padre normale, scritti da un figlio psicoanalista, sono speciali e meritano attenzione, per il rapporto che avvolge padre e figlio in una fascinosa lezione di vita e di amore, complice la psicoanalisi.
(dalla prefazione di Aldo Carotenuto)
Uno straordinario Carlo Giuffrè, apparso di recente sugli schermi nelle vesti di Mastro Geppetto affettuoso e tollerante padre-non padre dell’irrispettoso, irresponsabile e ribelle Benigni-Pinocchio, ha prestato la sua voce, insieme alla non meno brava “fatina” Angela Pagano per recitare una gemellare biovulare versione del testo nel CD allegato al libro. Le musiche sono state composte e arrangiate da Donato Cimaglia.
Le Stanze dei Sogni
Architetture oniriche di Amedeo Caruso
con Stefano Sabelli
e con Donato Cimaglia percussioni – Marco Mancini tastiere
Scene e regia di Stefano Sabelli – musiche originali di Donato Cimaglia – Costumi di Marisa Vecchiarelli
Prima rappresentazione 27 novembre 1998 al Teatro Savoia di Campobasso. Ripreso al Teatro dell’Orologio di Roma nell’inverno del 1999 dove ha tenuto cartellone per tre settimane, è stato poi in tournée a Spoleto e in diversi altri teatri italiani.
E se Frank Sinatra, Lou Andreas Salome, Karen Blixen, Orson Welles, Arthur Shnitzler, Borges o Robert L. Stevenson, fossero personaggi della giostra dei nostri sogni? Su una scena costruita come una giostra di stanze dei sogni (ispirate ad opere di maestri dell’arte contemporanea come Hopper, Magritte, Klimt) che si inseguono l’una dopo l’altra, si realizza un caleidoscopio onirico dove si incontrano diversi personaggi dell’800 e’900. Lo spettacolo ideato e interpretato da Stefano Sabelli, con musiche originali eseguite dal vivo, è la messa in scena di “architetture oniriche” progettate dallo scrittore, medico e psicoanalista molisano Amedeo Caruso, che al sogno, e specie al sogno d’artista, ha dedicato un libro molto apprezzato dalla critica e dal pubblico (Di che sogno sei? ed. Liguori 97). Tutte biografie di personaggi legati alla cultura del sogno, della psicoanalisi e alla conoscenza che passa attraverso i sogni, che rivivono oniricamente, assemblando momenti salienti delle loro esistenze, nel sogno letterario di Caruso. Questo, fa da specchio al sogno dello spettatore, coinvolto in una giostra di sogni possibili, dove anche la sua fantasia può abbandonarsi e interagire col sogno di scena dove, come dice Caruso-Shnitzler, “gli elementi salgono ininterrottamente verso il conscio o precipitano nell’inconscio”.
Una versione ampliata con i personaggi di Rodolfo Valentino, Robert De Niro Senior e Junior, il Diavolo e la Donzella e il conte Cola Monforte è stata rappresentata nel 2007 nello spettacolo Le Stanze dei Sogni nella Città Invisibile, sempre con la regia di Stefano Sabelli.
http://www.teatrodelloto.it/spettacoli/stanze_sogni_nella_invisibile.php
http://www.teatrodelloto.it/photogallery.php
Di che sogno sei?
Uno psicologo curioso e un po’ intrigante incontra attori e antropologi, professori universitari e rockstars, registi e scrittori, pittori e musicisti (e psicoanalisti) per conoscere i loro sogni e le loro opinioni sull’invenzione di Freud, Jung & Co. In conversazioni (senza vessazioni) inedite con il mondo contemporaneo creativo al di qua e al di là di Gibilterra – Robert Altman, Laurie Anderson, Aldo Carotenuto, Judith Malina, Paulo Coelho, Bill Frisell, James Hillman, Dacia Maraini, George Lapassade, Laura Morante, Paolo Rossi, Les White sono solo alcuni dei personaggi che s’incontrano nel libro – l’autore riesce a interrogare ciascun “oracolo” sulla sua verità più nascosta. Un lavoro che finalmente capovolge i rapporti psicoanalitici trasformando lo strizzacervelli in un paziente desideroso di sapere, ma non di guarire dalla mattia della domanda.
Allegato al volume un prezioso CD dei Naniga, psicogruppo strumentale di percussioni, indispensabile per accompagnare la lettura del libro e le inevitabili ri-percussioni che essa provocherà.
RECENSIONE di Luciana Sica
Viaggio nell’ipnosi, psicologia creativa
Chertok e la Stengers hanno ben focalizzato la questione, definendo la “querelle” inquietante” come la minaccia del ritorno verso un passato oscurantista, dal quale proprio la psicoanalisi ci ha liberato”. Dunque, ecco che l’ipnosi diventa per i due autori una ferita narcisistica del genere umano, la terza, dopo quelle inferte da Copernico e Darwin: dopo queste scoperte, l’uomo non è più al centro dell’universo, non è il re del creato, non è più padrone della vita psichica, così come ha genialmente intuito Freud.
“Ma forse gli psicoanalisti rifiutano la ferita narcisistica che la realtà ha inferto alle loro ambizioni. Meglio è tenere in vita una pratica che dà l’impressione a chi la applica di capire quel che fa, piuttosto che ammettere un ritorno all’incertezza”.
Roustang ha messo in evidenza come la neutralità dell’analista che si presume garantisca di non essere, al contrario clell’ipnotizzatore, parte in causa del rapporto che si stabilisce tra terapeuta e paziente, sia in realtà un’ipocrisia. L’influenza suggestiva dello psicoanalista è ancor più temibile, perche la si tace. Il rapporto che si instaura, egli ha scritto, è un rapporto di suggestione a lungo termine, nel quale l’analizzato può arrivare sino a un’identificazione divorante con il suo analista, può divenirne il doppio.
Ecco allora che si pone l’interrogativo scottante. Non è forse l’eccesso di potere che si arroga la psicoanalisi il vero nodo del problema, proprio nella misura in cui pretende di non entrare affatto nella relazione affettiva con il paziente, cosa che invece l’ipnosi non consente?
Da quando Ferenczi ha intuito che non c’è nulla di neutrale nella posizione dello psicoanalista, che il transfert è soprattutto una protezione dello psicoanalista, che gli consente di ignorare i propri sentimenti nascosti; dacche sempre Ferenczi ha chiesto ai suoi colleghi di ammettere che la tecnica delle associazioni libere creata da Freud è una tecnica ipnotica, non possiamo più ignorare la presenza di una trance coinvolgente i due protagonisti del lavoro analitico.
Ora il discorso sembra slittare non tanto sul problema ipnosi sì, ipnosi no, ma quanto sul valore che ristabilirebbe un legame ipnotico in analisi: l’empatia.