Dante psicofuturista

Questo mio scritto su Dante Alighieri, con uno speciale taglio psicoanalitico, vuole celebrare la sua sicura ascesa al Paradiso 700 anni fa. Il testo fa parte di un nuovo libro di prossima pubblicazione, che contiene una galleria di personaggi del mondo dell’arte, dello sport, della politica, della comunicazione, che hanno tutti un comune – ma non comune – denominatore psicofuturista. Buona lettura!

Se io fossi un professore di letteratura alle scuole superiori (idea che ho accarezzato per tanti anni durante il liceo classico), per far conoscere Dante ai miei allievi, comincerei da Borges. Leggerei in classe gli scritti di Borges sulla Divina Commedia e sono certo che li incanterei grazie al più grande affabulatore della storia della letteratura che io abbia mai incontrato nel mio cammino di modesto lettore, insieme a Stevenson, Stendhal, Proust, Balzac, Dickens. Ricordo che Borges un giorno affermò di essere fiero non tanto dei libri scritti ma di quelli letti.

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Intervista a Giorgio Albertazzi – Vie (e) regie dell’inconscio

In ricordo di Giorgio Albertazzi, ripubblico questa intervista contenuta nel mio libro Regie dell’inconscio (Alpes, Roma, 2014) sulle radici psicoanalitiche del cinema italiano d’autore. Dopo il nostro primo incontro continuammo a vederci sia per arricchire l’intervista e sia perché nacque lentamente una bella amicizia che lo convinse ad accettare il mio invito a partecipare come relatore a un convegno su psicologia e comunicazione di cui ero uno degli organizzatori. Fui da lui coinvolto a fare un intervento alla Camera a un convegno sul Teatro come veicolo di psicologia formativa e creativa nella scuola (pubblicato in La psicoanalisi all’Opera) dove il Maestro era ospite d’onore. Continua a leggere Intervista a Giorgio Albertazzi – Vie (e) regie dell’inconscio

Vie (e) regie dell’inconscio. Intervista a Giorgio Albertazzi

Estratto dell’intervista a Giorgio Albertazzi pubblicata nel Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 3, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2006.

Se il sogno è la via regia all’inconscio, come afferma Freud, molti artisti hanno trovato, forse prima di Freud, attraverso la loro creatività – come la psicoanalisi ha fatto con i suoi propri strumenti – la strada per conoscere i labirinti della vita interiore degli esseri umani.

Giorgio Albertazzi, che ammette candidamente di non sognare mai – o quasi, è stato ed è uno dei sommi ricercatori internazionali della rappresentazione scenica e cinematografica guidato (inconsapevolmente forse) dal demone ispiratore e illuminante – luciferino, dunque – dei misteri della psicologia del profondo.

Avvicinarsi ai segreti dell’inconscio pretende un corteggiamento quotidiano di opere letterarie fino a portarsele a letto, risvegliandosi e sognando ad occhi aperti di trasferirle sul palcoscenico o sul set, facendole passare prima dal filtro della propria imagerie.

Si tratta di utilizzare secondo me una trance peculiare degli artisti, che – quando sono tali – versano in uno stato perpetuo di reverie, che è in bilico tra il duende e l’ipnosi terapeutica.

Nel caso di Giorgio Albertazzi non soltanto il lavoro degli altri ma anche i suoi personali e originali scritti hanno configurato un mirabile e prezioso quadro che ci consentono di definirlo un vero e proprio “principe quaternario dell’inconscio teatrale e filmico”, con una strizzatina d’occhio a Jung, che “guarda caso” il Nostro ha anche conosciuto personalmente.

Un principe quaternario che si autodefinisce “un perdente di successo” che ha introdotto Dostoevskij e la Gradiva di Jensen-Freud nelle nostre case e vite televisive fin dagli anni ’70. E Shakespeare e “Il Silenzio delle sirene” e “Pilato sempre” e “Le Memorie di Adriano” e Pirandello e centinaia di altre rappresentazioni nei maggiori teatri italiani e stranieri.

Non c’è un autore o un testo da lui interpretato e/o diretto che non abbiano a che vedere con le problematiche e le meraviglie intriganti dell’inconscio. Basterebbe il suo dottor Jekyll per vincere una eventuale scommessa sull’importanza di psiche nella carriera di questo Senex-Puer in perfetto equilibrio tra saggezza e follia, raggiunta probabilmente mediante l’esperienza di impersonare anche mister Hyde, e riuscendo in quello che non riuscì al personaggio di Stevenson, che altro non è che un processo individuativo, una non-divisione tra l’essere e l’ombra, la ricerca della soluzione di continuo fra i due stati umani contrapposti.

Il Maestro ha capito che l’unico modo per partecipare al grande enigma della vita e dello spettacolo è quello di giocare nelle vesti del loser, dell’errante. L’unica possibilità per capire qualcosa della vita e dell’arte è di porsi nelle condizioni di giocarsi tutto sempre, perchè per capire il gioco bisogna cominciare a sapere come si sta quando si perde, quando si è disperati. Anche la vita riusciamo ad apprezzarla soprattutto quando rischiamo di perderla, o di perdere chi amiamo.

Mettersi in gioco nel caso di Albertazzi vuol dire ancora di puntare su testi difficili della roulette dello spettacolo (come rischiare insomma soltanto su un numero anziché accomodarsi sul rosso e nero).

Ma il destino degli iniziatori, di coloro che aprono la breccia nel muro che divide il vecchio dal nuovo, degli sperimentatori curiosi ed aperti a nuove conoscenze è sempre quello di sentirsi dei diversi, dei solitari che suscitano invidie ed incomprensioni ed in cambio ottengono una capacità introspettiva che li rende capaci di intravedere tutta la meschinità e la miseria umana. Questo è anche il compito e il destino del lavoro psicoanalitico, saper cercare per sè e per i propri psicoanauti le strade di una vita nuova, sostenendosi e sostenendo il lavoro comune nella ricerca della autenticità e della autonomia, per sedere insieme al tavolo della vita con il nostro personale doppio, che si chiami mr. Hyde oppure Dorian Grey ed aprire una “conversazione mai interrotta”, sotto il sole della creatività e senza mai dimenticare la lezione di Shakespeare che ci definisce tutti attori sulla scena dell’esistenza.

Queste sono le premesse psicoanalitiche che sono diventate un tessuto connettivo di grande fibra, resistenza e persistenza nelle amabili conversazioni con il Maestro Giorgio Albertazzi.