Dante psicofuturista

Questo mio scritto su Dante Alighieri, con uno speciale taglio psicoanalitico, vuole celebrare la sua sicura ascesa al Paradiso 700 anni fa. Il testo fa parte di un nuovo libro di prossima pubblicazione, che contiene una galleria di personaggi del mondo dell’arte, dello sport, della politica, della comunicazione, che hanno tutti un comune – ma non comune – denominatore psicofuturista. Buona lettura!

Se io fossi un professore di letteratura alle scuole superiori (idea che ho accarezzato per tanti anni durante il liceo classico), per far conoscere Dante ai miei allievi, comincerei da Borges. Leggerei in classe gli scritti di Borges sulla Divina Commedia e sono certo che li incanterei grazie al più grande affabulatore della storia della letteratura che io abbia mai incontrato nel mio cammino di modesto lettore, insieme a Stevenson, Stendhal, Proust, Balzac, Dickens. Ricordo che Borges un giorno affermò di essere fiero non tanto dei libri scritti ma di quelli letti.

Insomma, se come in un sogno insegnassi al mio liceo (che divertimento avere i miei amici di scuola come allievi!), leggerei insieme a loro come un compagno di viaggio I nove saggi danteschi (Adelphi, Milano, 2001) sempre scritti dal cieco illuminato Jorge Luis, libro che contiene anche una conferenza inclusa nel suo Sette notti del 1980 (Feltrinelli) che lessi per prima quando mi ero appena laureato in Medicina.

Devo segnalare che Borges cita tra i commentatori da lui apprezzati gli italiani Momigliano, Petrocchi, Carlo Grabher (apprezzato soprattutto fino agli anni Sessanta) e anche Carlo Steiner, senza dimenticare le considerazioni di Benedetto Croce. Noi abbiamo studiato invece sui testi di Natalino Sapegno e Luigi Russo.

Ma forse prima di tutti quanti, anche prima di Borges, vedrei insieme ai miei alunni tutto Roberto Benigni che spiega e recita la Commedia, che forse – con tutto il rispetto – si farebbe amare e apprezzare più di tanti sapientoni di cui siamo stati costretti a leggere, rileggere e ripetere le interpretazioni cinquant’anni fa.

Proporrei ancora le recitazioni dantesche di Vittorio Gassman e del mio amico Giorgio Albertazzi, che credo insuperabili, ai quali unirei Carmelo Bene che lo declama nel suo modo personalissimo e incomparabile. Ricordo che sempre Giorgio Albertazzi interpretò il ruolo del sommo poeta in televisione nel 1965 (correva il settecentesimo dalla nascita), nello sceneggiato Vita di Dante del bravissimo regista Vittorio Cottafavi. Le tre puntate di cui è composto sono accessibili a tutti su Rai Play, un’avventura che consiglio.

Avverto la necessità di ricordare che il mio critico letterario preferito, Edmund Wilson, lesse Dante in italiano; e così fece anche con gli autori russi, godendoseli in originale… potenza dei grandi scrittori che riescono a far apprendere la loro lingua per farsi intendere alla perfezione!

Voglio segnalare, sempre su Rai Play, anche la video-consultazione di Vittorio Sermonti che legge e interpreta Dante, del settembre 2000.

Una decina di anni fa acquistai a un prezzo formidabile, al solito mercato di Porta Portese dove mi recavo spessissimo, il cofanetto intero dei dvd del Caffè Letterario (edito da Repubblica L’Espresso) contenente venticinque conversazioni dedicate a grandi personaggi della letteratura mondiale, commentati e raccontati da insigni rappresentanti del mondo culturale. Il disco dedicato all’Alighieri confesso di averlo visionato solo poco prima di scrivere questo pezzo, un po’ diffidente della passione dantesca di un pur bravissimo filosofo e scrittore. Mi sono dovuto ricredere. Invito pertanto a chi riesce a trovarlo o lo possiede a non fare come me e a goderselo subito, perché Massimo Cacciari ha aperto degli spiragli di luce su Dante a me sconosciuti e davvero interessanti. Il suo punto di vista è sì filosofico, ma più che mai affascinante. L’ex sindaco di Venezia segnala i neologismi danteschi come un’invenzione di lingua singolare: inluiarsi, per esempio, che indica la possibilità/capacità di mettersi nei panni veri e propri di qualcuno; insemprarsi, ovvero la probabilità di essere per sempre; inventrarsi nell’eterno, che suggerisce l’ipotesi di essere nella pancia dell’eternità. Ecco che l’unità della conoscenza si articola in quelle che vengono definite le regine del sapere: scienza, filosofia e religione. E qui interviene il giusto graffio dello specialista nel definire il Convivio dantesco la prima opera filosofica scritta in volgare illustre. E ancora l’elogio del De vulgari Eloquentia che, scritto in latino illustra invece l’importanza del volgare, la nuova lingua degli italiani. Cacciari ci ricorda che il santo di Dante è Francesco, sposo della povertà, che il poeta preferisce a Domenico e Agostino. E come potrebbe un filosofo non condividere ed esaltare quello che Dante definisce “il sommo bene”, ovvero la libertà? …libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta, come fa dire a Virgilio nel primo canto del Purgatorio, presentando Dante a Catone. L’ammirazione di Cacciari e la sua arguzia mi hanno vinto e convinto nel ricercare nei versi di Dante una “prepotenza” che supera anche il volere di Dio: l’amore vince perfino la Divina Volontà… sembra incredibile ma bellissimo, e come non condividerlo? Infine, il suo giudizio critico tra Dante e Shakespeare lo esprime con una semplice ma fondamentale differenza: mentre l’opera del primo è permeata e illuminata da Dio, per il Bardo, nonostante la sua immensa grandezza e creatività, la sua produzione si svolge tamquam Christus non esset, come se l’avvento del cristianesimo non ci fosse mai stato. Mitico Cacciari. Voglio anche consigliare la lettura di un appassionato libro di Mario Tobino, il famoso psichiatra scrittore che ha scritto nel 1974 una biografia romanzata molto gradevole e accattivante dal titolo Biondo era e bello.

Dante, per contestualizzarlo storicamente, vive ai tempi delle Crociate e, nel XXVIII Canto, situa Maometto all’Inferno nel Cerchio VIII, tra i seminatori di discordia, con una pena terribile (tagliato continuamente a pezzi da un diavolo armato di spada). Ma attenzione, il nostro amato poeta dice che la Bolgia che lo “accoglie”, la Nona, è lunga 22 miglia, esattamente quanto sono lunghe le mura Vaticane a Roma! Una coincidenza piuttosto maliziosa, ma non dimentichiamo che Dante spedisce all’Inferno ben quattro papi e soltanto due in Purgatorio…

Inoltre, partendo dal libro Dante e l’Islam di Miguel Asín Palacios, la studiosa Maria Corti ha sottolineato il rapporto di Dante con l’Islam in un articolo memorabile sul Corriere della Sera dal titolo Dante. Il sommo poeta partorito dall’Islam, dove la scrittrice scopre la conoscenza del Libro della Scala – un testo escatologico arabo-spagnolo fatto tradurre da Re Alfonso X di Castiglia a un dotto medico ebreo – da parte del divino poeta, che probabilmente ha tratto ispirazione dalla storia del viaggio di Maometto nell’Aldilà.

Per chi ama il cinema e naturalmente Dante, segnalo che esiste il sito web www.danteeilcinema.com interamente dedicato alle espressioni della settima arte relative al Nostro poeta. Non esiste invece un sito relativo alla musica applicata a Dante, ma vi darò qualche informazione: nel 1973 il già mitico Fabrizio De André scrisse e musicò una canzone dal titolo Al ballo mascherato contenuta nell’album Storia di un impiegato, in cui si parla di Paolo e Francesca, a cui invece i New Trolls nel 1982 dedicarono una canzone intera dall’album UT. Il gruppo Metamorfosi ha inciso i dischi Inferno, Paradiso e Purgatorio rispettivamente nel 1973, 2004 e 2016. Angelo Branduardi ha composto nel 2000 Divina Commedia, Paradiso, Canto XI nell’album L’infinitamente Piccolo. Infine, Gianna Nannini nel 2007 ha portato sui palchi un’opera rock ispirata a Pia De’ Tolomei, passando naturalmente per Dante nel Quinto Canto del Purgatorio.

Ora sarebbe un vero delitto di lesa psicoanalisi e una vera offesa al genio dell’Alighieri se omettessi

quanto invece state per leggere. Il discorso parte da lontano. Era il 14 febbraio del 2009. Come tutti sanno questo è il giorno del santo protettore degli innamorati. Per me è un giorno che contiene anche un po’ di tristezza, perché lo stesso giorno nel 2005 morì il mio maestro di psicoanalisi Aldo Carotenuto. Da allora, anche se penso a lui spesso per i suoi insegnamenti e per la sua passione professionale e creativa, oltre a reincontrarlo nei miei sogni, il giorno di San Valentino è segnato come la data della sua fine terrena. Dunque, nel 2009 ero a Siena dove mi ero recato per visitare al Complesso Museale di Santa Maria della Scala una mostra dal titolo La lente di Freud, una galleria dell’inconscio, a cura dello psichiatra e psicoterapeuta Giorgio Bedoni. Ricordo bene il giorno di quell’anno perché insieme a una coppia di amici medici di Siena non riuscimmo a trovare un ristorante se non molto distante dalla mostra a causa delle infinite coppie e coppiette che celebravano il loro amore, e il peso del catalogo della mostra insieme a un altro libro si faceva sempre più gravoso. Ma fu una vera fortuna acquistare i cataloghi delle esposizioni che avevo appena visitato. Sì, perché caparbiamente trasportavo anche il pesantissimo volume della mostra Arte, genio e follia ideata da Vittorio Sgarbi che si teneva sempre al complesso museale, che unito ad altri due libri tutt’altro che leggeri sull’arte a Siena mi facevano sentire un simbolico “mulo intellettuale” che trasporta con sé la conoscenza di cui ha bisogno.

Dopo la cena, tornato in albergo, sfogliai il catalogo La lente di Freud e trovai nelle prime pagine un saggio dal titolo Una chiave di lettura psicoanalitica per la Divina Commedia dello psichiatra e psicoanalista Mauricio Abadi. Cominciai a leggerlo e nonostante la stanchezza proseguii di filato per tutte le quindici densissime pagine del catalogone. Si trattava infatti di una straordinaria interpretazione dell’opera dantesca che mi affascinò, anche perché non avevo mai studiato nulla di simile sulla Commedia dal punto di vista psicoanalitico. E così è arrivato il momento di raccontarlo a voi. Cercherò di fare un riassunto critico di quest’originale Lectura Dantis.

Vediamo intanto di introdurre la figura di Mauricio Abadi, nato a Damasco, vissuto a Milano dal 1920 al 1937 e quindi trasferitosi in Argentina dove si è laureato in medicina, specializzato in psichiatria e diventando poi psicoanalista. Il dottor Abadi, che ha insegnato all’Università di Buenos Aires, esordisce nel suo saggio ricordando il postulato dell’Oggettività della Natura, che rappresenta il fondamento su cui poggia il metodo scientifico delle leggi dell’universo (questo postulato è ben spiegato nel famosissimo libro del 1970 Il caso e la necessità del Premio Nobel Jacques Monod).

Anche per la psicoanalisi, però, esistono dei postulati applicabili sia alla terapia con i pazienti che all’interpretazione di un’opera d’arte. Entrambi hanno come fine la possibilità di rintracciare fenomeni inconsci che, una volta decifrati, sono capaci di illuminare la vita di una persona o le ragioni di un’opera d’arte. Il metodo psicoanalitico consiste nello scoprire i significati nascosti nella vita di un paziente che si sottopone all’analisi attraverso i sogni, che sono la via regia all’inconscio secondo la famosa definizione freudiana. Nel caso dell’opera d’arte non si tratta ovviamente di un paziente ma di uno scritto come, per esempio, La Divina Commedia o di un quadro, come potrebbe essere La persistenza della memoria di Salvador Dalì, con l’invenzione degli orologi molli (in origine Los relojes derretidos).

Voglio ricordare a questo punto – anche se non è scritto nel saggio di Abadi – che il primo a lanciarsi nell’interpretazione psicoanalitica di un’opera d’arte fu lo stesso Freud che, su consiglio di Jung lesse il libro Gradiva di Jensen e ne trasse una magistrale interpretazione della vicenda creata dallo scrittore. Questo per sottolineare che naturalmente la biografia dell’autore è parte integrante dell’esegesi psicologica di una qualunque creazione. Dunque, il nostro bravissimo Mauricio Abadi ha preso in giusta considerazione i due gravi lutti subiti da Dante, il primo all’età di 5 anni quando perse la madre, e il secondo all’età di 10, quando gli morì il padre. Inoltre, l’Alighieri subì la sostituzione della madre con una matrigna e patì l’arrivo di ben tre congiunti (due sorellastre e un fratellastro) concepiti, prima di morire, dal padre con la matrigna. L’unico elemento consolatorio sarà l’incontro con Beatrice all’età di nove anni e quindi la guida di Brunetto Latini per i suoi studi.

Ecco come lo psicoanalista sinteticamente definisce La Divina Commedia: essa è un sistema di risposte alle domande dell’essere umano. Tutti gli artisti, e in fondo anche i non artisti, afferma sempre Abadi, devono accettare quella che possiamo definire una resa senza armi. E cioè che lo psicoanalista ne sappia più di loro riguardo la loro stessa vita, perché riesce ad aprire porte segrete, inaccessibili senza il suo aiuto. Questo acuto psicoanalista ha individuato quattro tematiche centrali della Divina Commedia: quella della morte, quella della ripetizione riparatrice, quella della colpa e della punizione, e infine, quella della esistenza umana come apparenza significativa di un’altra realtà. Ma sostanzialmente si occupa soltanto di due di queste, ovvero della morte, e dell’esistenza umana come riflesso di una realtà nascosta. Mauricio Abadi è stato presidente della Società Psicoanalitica Argentina e viveva proprio a Buenos Aires, dove un altro argentino famoso, Jorge Luis Borges rifletteva poeticamente sulla Commedia, come abbiamo già ricordato. Ma l’idea stupefacente di questo saggio è che Abadi conferisce a Dante il titolo di profeta di una psicoanalisi ante litteram.

L’ipotesi di Abadi è che Dante attraverso la sua opera si è cimentato in un’autoanalisi come ha fatto Proust …e come d’altronde ha fatto Freud, aggiungo io. Secondo lui il messaggio della Divina Commedia è un tentativo di auto-esaminare o riesaminare la propria infanzia e la propria persona in funzione dell’elemento infantile, però dell’infantile represso o inconscio, generatore del comportamento di un individuo apparentemente adulto. Lo scopo è dunque quello di riparare terapeuticamente invece di ripetere compulsivamente, che è un comportamento malato. Bisogna essere capaci di ricordare, evitando di diventare schiavi di pensieri o atti ossessivi. Ma ciò che preoccupa maggiormente l’eminente psichiatra argentino (un vero talento della critica psicoanalitica) è il tema della morte, poiché l’angoscia di morte è uno dei sentimenti prevalenti che accompagnano secondo lui l’essere umano durante tutto l’arco della sua vita.

Naturalmente secondo Abadi l’idea della morte non corrisponde alla morte reale, ma varia a seconda del contesto storico, ideologico e religioso. Insomma, l’immagine o le fantasie di morte dipendono dalle differenti fantasie sull’aldilà, sull’anima e sull’idea di giustizia basata sul premio, sul perdono o sul castigo, ovvero paradiso, purgatorio e inferno. L’ipotesi creativa della Divina Commedia consiste nell’elaborazione e nel superamento, magico, dell’angoscia di morte. Ed è qui che si configura quella che lui definisce l’apparenza significativa di un’altra realtà all’interno dell’esperienza umana (cito testualmente): è mio preciso intento indicare che la Divina Commedia è un tentativo di mostrare l’esistenza della possibilità di annullare un passato e un presente dolorosi per mezzo di un “ricominciamo”, per mezzo di una nascita in grado di azzerare tutti i mali dell’esistenza di ora: una rinascita, dunque… Dante disegna una prefigurazione della morte e tenta di immaginare come meccanismo di difesa per placare la sua angoscia, che la morte totale non esista… “morire” è semplicemente un “transito da una vita a un’altra vita”.

La paura della morte viene distinta in tre condizioni: la prigione (vista come angoscia della fase prenatale); il naufragio (letto come angoscia della fase intra-natale); la paura dell’abbandono e della solitudine quando, indipendente dalla madre, il figlio vive l’angoscia della fase postnatale (definito come angoscia dell’essere fuori del corpo della madre). La soluzione per trovare il superamento del sentimento di solitudine è situata nella simbologia del paradiso, dove si attua lo scioglimento della simbiosi inscindibile con l’utero materno, che però è anche una prigionia, dalla quale bisogna staccarsi per conquistare l’indipendenza. Nel paradiso non si è uniti a Dio o ai santi, ma si è insieme con loro. A questo punto fanno capolino i concetti archetipici del senso di colpa, della paura, della vendetta, del castigo, qualora non si fosse in grado di separarsi nel giusto modo dal corpo della madre. In questo passaggio naturale e necessario per tutti gli umani, se nascere è traumatico (come ha scritto Otto Rank, trattando il tema nel libro Il trauma della nascita del 1924), con la nascita si ottiene un guadagno, che è la fine del vincolo di dipendenza, il classico e indispensabile “taglio del cordone ombelicale”. La dipendenza è obbligatoria per nove mesi, ma quando non è più naturale si trasforma nella paura della novità.

Ora, la vita così come si manifesta nel comportamento umano, è elaborazione, espressione, comunicazione, ripetizione di fantasie inconsce. Lo studio di Abadi a questo punto realizza che in tutti noi c’è un primo anelito alla liberazione e allo stesso tempo alla dipendenza; poi un anelito al possesso; quindi, un anelito all’amore e alla generosità. L’ultimo anelito è quello che tende a separare una coppia (dove il figlio sta tra madre e padre) in due modi: unendosi a uno dei componenti della stessa (riunendosi per esempio alla madre ma ostacolando il padre); oppure liberandolo (che vuol dire separarsene e allontanarsi giustamente dalla coppia madre-padre).

Quindi il problema “vita-morte” è alla base della Divina Commedia. Il poema rappresenta la realtà di un viaggio nell’Aldilà e un tentativo di rispondere in vita all’interrogativo sul destino dell’essere umano, dopo che è terminata la sua esistenza terrena. La Divina Commedia rappresenta così, creativamente, una fantasia difensiva contro l’idea persecutoria di morire. Dante Alighieri nella realtà è stato protagonista di una vita dolorosa ma non è stato l’autore della stessa. Componendo i suoi divini canti si è fatto regista e attore di una nuova edizione del film della sua vita riveduta e corretta. La madre viene recuperata attraverso il personaggio di Beatrice e allo stesso tempo avviene una riparazione del suo senso di colpa al “matricidio” commesso nella fantasia. La Divina Commedia è dunque un ritorno alla madre per rinascere da lei. Ed ecco le cinque motivazioni principali con cui questo fascinoso saggio di Mauricio Abadi corona il senso della sua intuizione sull’opera del divino poeta:

  1. Il viaggio nell’Aldilà è un tentativo di tornare al grembo materno, placare l’angoscia di morte e ricominciare tutto rinascendo, tornando alla sua vera nascita trentacinque anni prima;
  2. la sua rinascita è anche l’elaborazione del suo trauma della nascita;
  3. il ritorno al grembo materno è una preparazione, un allenamento a un passaggio inevitabile, la morte;
  4. il ritorno alla madre e la rinascita rappresentano il confronto dell’individuo con la propria storia per raggiungere l’integrazione della propria personalità (e qui entra in ballo inevitabilmente Jung).
  5. la comparsa del mito e dell’eroe tragico (ovvero Edipo) che penetra la madre assumendo un ruolo paterno con lo scopo di liberare il figlio. E chissà che non sia giusta l’idea che il frequente appellativo di “padre” con cui si nomina Dante si colleghi a questo aspetto di liberazione

L’esistenza dell’Inferno corrisponde a un aspetto educativo, cioè a far si che l’essere umano si senta spinto a espiare le sue colpe prima di morire, di pentirsi finché è in vita. Abadi sostiene che la Divina Commedia raggiunge la sua vetta più alta e significativa nella misura in cui costituisce, insieme oltre a tutto il resto, un’allegoria del senso più profondo del vivere, ovvero una cripto-realtà della vita, intesa come un attraversamento che riproduce o che prolunga il processo di una nascita di liberazione.

Secondo Abadi, che ormai fa parte dei nostri miti psicoanalitici, l’esistenza per Dante costituisce, nelle sue molteplici manifestazioni, una continua riproduzione e rielaborazione simbolica della nascita. La vita è una continua sequenza di ri-nascite. L’Inferno con i suoi nove cerchi è una trasparente metafora della vita intra-uterina, ad ogni girone più stretta e terribile e, come dice letteralmente lo studioso, più claustrofobica a partire dai primi gironi, fino al nono e ultimo, quando il parto ha termine, momento in cui Dante si capovolge mettendosi a testa in giù, come un feto, prima di dare vita al suo passaggio nel mondo extrauterino per emergere nell’emisfero extra-boreale. Dunque, il Purgatorio è la fase intra-natale, quella che Abadi definisce “lo stare nascendo”, al cui termine il poeta (ovvero il bambino) si stacca dal corpo della madre, dalla terra (di cui sono costituiti l’inferno e il purgatorio) ed emerge verso il cielo (aria, libertà, spazio aperto del fuori postnatale), chiara rappresentazione della vita extra-uterina.

Dante appare al cospetto di Dio, il padre liberatore, e della Vergine, versione idealizzata della madre pura e buona. In tutta questa interpretazione è sottintesa l’idea della vita come un costante vivere-nascere, come se vivere fosse un perpetuo stato nascente.

La Commedia celebra simbolicamente l’anelito dell’uomo a emergere da una condizione di prigionia verso un’irraggiungibile liberazione, che diventa impossibile quando il protagonista umano è ostacolato dalla paura. E la paura, secondo lo psicoanalista argentino, sembra essere tributaria della colpa, sotto il cui segno si sviluppa il vivere… insomma, psicoanaliticamente si nasce a spese di un simbolico matricidio!

E per concludere in gratitudine, come fare senza Dante che ti soccorre sempre durante una conferenza di psicoanalisi? Le citazioni che spesso vengono a galla quasi da sole sono: Perdere tempo a chi più sa più spiace; Non ti curar di loro ma guarda e passa; Galeotto fu il libro e chi lo scrisse; Tornammo a rimirar il sole e le altre stelle; Amor ch’a nullo amato amar perdona; Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole… e più non dimandare; Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello! (che pensandoci bene – lontani da ogni qualunquismo, ma realistici – funziona sempre, purtroppo, in tutti i tempi e sotto tutti i governi del nostro povero Stivale!).

Pubblicato da

Amedeo Caruso

Presidente del Centro Studi Psiche Arte e Società, direttore dell'omonima rivista. Medico-Chirurgo, specialista in Medicina Interna, Psicoterapeuta, Esperto in Bioetica.