Che fortuna abitare a Roma. A Roma tutti i sogni diventano desideri. E tutti i desideri – culturali almeno – vengono esauditi. Accade così che dopo la visione, ieri sera, di un meraviglioso docufilm dedicato a Truffaut, Le Spectacle Interieur, realizzato da Vittorio Giacci e proiettato in visione privata per i simpatizzanti e i soci del Centro Studi Psiche Arte e Società presso un’enoteca da sogno in via delle Quattro Fontane, sotto le volte costruite dal Borromini, ci svegliamo oggi pronti a visitare una mostra “avvolgente” dal titolo intrigante per lo psicofuturista: I vestiti dei sogni. Si tratta di un lungo ma gradevole percorso attraverso i costumi di scena – tutti firmati da sarti e stilisti italici – di una quantità enorme di film nostrani e stranieri. Il luogo è tra i più storici e monumentali di Roma, Palazzo Braschi, per cui ogni volta che ci affacciamo a qualche finestra di questo palazzone, vediamo la bellezza di Piazza Navona o il fascino di Corso Vittorio Emanuele. Questa immaginifica mostra promossa dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura, è realizzata dalla celebre Cineteca di Bologna ed Equa di Camilla Morabito. Primavera è alle porte e qui in piazza San Pantaleo, attraversando il portone di Palazzo Braschi, si scopre un androne magnifico con le altre porte che si aprono su Piazza Navona (via di Pasquino), su via della Cuccagna (ullallà… solo per gli over sixties!) e su via di S. Pantaleo. Date un’occhiata per favore, anche se la mostra non ci fosse più, al più bel tombino della storia (o quantomeno della mia memoria), quello sito al centro del vasto cortile dove si aprono i portoni predetti. Si tratta di un semplice, piccolo capolavoro: una stella a otto punte che in ciascun angolo lascia passare l’acqua piovana chiusa in un ottagono di pietra bianca come la stella, circondata dai classici sanpietrini neri. Saliamo. Le scale enormi, maestose ricordano quelle di Palazzo Correr a Venezia. Appena entrati si ode musica da film e si incontra subito l’abito indossato da Toni Servillo per il ruolo di Gep (vedere se volete sul nostro Pazzi per il Cinema perché non lo chiamiamo Jep) Gambardella e il mantello color petrolio portato da Sabrina Ferilli sempre nella Grande Bellezza di Sorrentino, di cui abbiamo scritto belle cose, psicologiche e non, nello stesso libro, prima che il film vincesse l’Oscar nel 2014 e prima che si formasse il coro dei critici pronti a correre in soccorso del vincitore, come sosteneva Flaiano. La costumista Daniela Ciancio scrive che per l’abito di Gep (una giacca rossa attillata a quadri con pochette svolazzante al taschino) si è ispirata “al gagà napoletano e a uno stile caprese e della costiera amalfitana”. La storia del mantello della Ferilli è invece ricavata da una saggia interpretazione caratteriale del personaggio, la cui fragilità è espressa dal suo modo di vestire sempre fuori luogo: indossa magliette da ragazza anche se è un’adulta, si veste chic per andare al ristorante o seminuda per una festa di artisti. Passiamo ora a due abiti speciali indossati da Lyda Borelli nel film Rapsodia Satanica (1915) del regista Alberto Bruno e da Francesca Bertini in Assunta Spina, sempre del 1915, di Gustavo Serena. Il vestito della Borelli è stato addirittura confezionato da Mariano Fortuny e il tipo di abito prende il nome (citiamo dal catalogo) di Delphos, ispirato alle tuniche greche; l’abito è realizzato con una fitta plissettatura – brevettata proprio da Fortuny – che permette all’abito, tagliato secondo una foggia cilindrica, di modellarsi naturalmente sulle curve del corpo femminile. L’abito dell’altra diva dei primordi del cinema italiano è uno scialle bianco assai ben lavorato, che serve secondo i voleri del regista e dell’attrice a parlare al posto dell’attrice nella scena iniziale del film, tratto dall’indimenticabile dramma di Salvatore Di Giacomo.
Dietro questi abiti elegantemente esposti su manichini, vengono proiettate immagini delle dive che esibiscono gli stessi costumi che ammiriamo dal vivo. La stanza seguente ci introduce agli abiti di scena – opulenti, colorati, pieni di oro e disegni – realizzati per il film I Borgia da colui che ne fu anche il regista, Luigi Sapelli, in arte Caramba. Questo è l’unico film realizzato come regista dal nobile piemontese che assunse il nome d’arte predetto per ovviare alle rigidità militari paterne, che gli proibivano inclinazioni artistiche. I numerosi abiti che popolano questa stanza sono presenti in una brevissima scena del film che viene ripetuta in continuazione, relativa a un pranzo dove sono presenti molti degli attori con gli stessi vestimenti.
Vittorio Nino Novarese è una figura strana del cinema italiano, un po’ come Caramba, di cui fu assistente. Infatti non è soltanto un bravo costumista, ma anche un capace sceneggiatore. Il suo esordio è con Alessandro Blasetti, col film 1860. Ma vince l’Oscar nel 1963 per Cleopatra, di Joseph Mankiewicz, un film che fece quasi fallire la 20th Century Fox, ma resterà nella storia per l’interpretazione insuperabile di Elizabeth Taylor nei panni di Cleopatra, tanto che nell’immaginario collettivo di chi ha visto il film (a qualunque età) la figura della regina d’Egitto coincide con la bellissima, capricciosa Liz. Apprendiamo che Novarese, dopo questo grande riconoscimento, si trasferì a Hollywood e realizzò i costumi per La più grande storia mai raccontata di George Stevens e Il tormento e l’estasi di Carol Reed su Michelangelo. La collaborazione alla sceneggiatura continuò con Ettore Fieramosca (1938) di Alessandro Blasetti con un giovanissimo Gino Cervi (incredibile immaginarlo come il futuro paffutello Maigret di circa trent’anni dopo!).
Gino Carlo Sensani viene ricordato in mostra come il primo grande costumista che rivendica al proprio ruolo una piena autonomia. Uomo di ricchissima cultura e di grande talento figurativo, interpreta la professione con una consapevolezza fino ad allora ignota. Insomma, la sua bravura consiste nell’attenzione storica e culturale relativa alle ricostruzioni di abiti, con una documentazione accuratissima e severa. Insegnò al Centro Sperimentale di Cinematografia e forgerà una delle più importanti costumiste della storia del Cinema, Maria de Matteis, di cui incontreremo a breve le creazioni. Inoltre, Sensani, che conclude la sua carriera a soli 59 anni con all’attivo ben ottanta film, strizza un giusto occhio allo psicoanalista con questa dichiarazione: In generale il costume deve esprimere una interpretazione psicologica della figura e illustrativa dell’atmosfera: essere quindi rapido, succoso, facilmente afferrabile. Uno dei film dove dimostrò una maestria eccelsa fu La corona di ferro (1941) di Alessandro Blasetti, dove – come scrive Stefano Masi – la pesantezza di questi abiti sa di Medioevo, ma Sensani la alleggerisce e la arricchisce con tocchi di misteriose garze, leggerissime, che celano inquietanti figure femminili: improvvisamente eccoci proiettati in una dimensione fantastica, da “Mille e una notte”.
Altra stanza, altri costumi… e che costumi! Parliamo di quelli indossati da Audrey Hepburn nel film del 1956 Guerra e Pace di King Vidor (ma le scene di massa e le battaglie furono girate dal nostro Mario Soldati, regista della seconda unità). Creati da Maria De Matteis, più illustre e creativa discepola di Sensani, per la quale il costume è la pelle di un personaggio, il rivestimento esterno di una persona in un ruolo. Sono esposti sei dei ventidue abiti indossati dalla giovanissima Audrey nei panni di Natascia nel meraviglioso polpettone (240 minuti) dal libro di Tolstoj. Fernanda Gattinoni, che collaborò all’ideazione dei costumi della protagonista insieme alla De Matteis, ebbe l’idea di lanciare nell’autunno-inverno 1955-56 la collezione di moda “Natascia”, ispirata al film, che ebbe un incredibile successo nelle vendite. È un invito a rivedere il film, magari diviso in quattro serate invernali o piuttosto in due estive, bevendo vodka russa on the rock e ammirando un prestante Vittorio Gassman, il colosso Henry Fonda e la futura prima bagnante della Fontana di Trevi Anita Ekberg, oltre alla delicatissima Audrey. Lo storico del cinema Christian Viviani ha scritto che Gino Sensani e Maria De Matteis, per il loro senso dell’esattezza, del dramma e del bello, sono i padri fondatori dell’arte del costume che Piero Tosi, Danilo Donati, Milena Canonero e tanti altri in seguito hanno saputo imporre agli spettatori del mondo intero. Agli antipodi del modello hollywoodiano che creava uno stile a partire dall’attore, Sensani e De Matteis, ricreavano uno stile a partire dal personaggio. La loro arte, libera da ogni costrizione della moda, non è schiava del tempo. Pensavamo, mentre percorrevamo le ampie stanze di questa sognante mostra, che la stessa è contemplabile attraverso una visione lenta e comoda dei film citati. V’invitiamo dunque, se (ri)vedrete la pellicola, a tenere d’occhio il vestito bianco ornato da cavallini di velluto nero, per enfatizzare gli aspetti giocosi, ingenui e dolcemente infantili di Natascia.
Piero Tosi si preannuncia con le musiche del valzer del Gattopardo.
Vale la pena di raccontarne la storia: Visconti possedeva il manoscritto originale di un valzer brillante di Verdi (che il grande Giuseppe aveva dedicato all’amica contessa Maffei) che gli era stato regalato da Mario Serandrei, montatore del film e buon amico sia di Luchino che di Nino Rota, che orchestrò quindi la partitura per pianoforte. Dunque il film si giovò di questo vero e proprio inedito verdiano. Ed è proprio la scena del ballo del “principone” con Angelica, quella che scorre dietro i bellissimi vestiti ideati da Tosi. A questo grandissimo costumista, che esordì come assistente di Maria De Matteis per un ormai leggendario Troilo e Cressida di Shakespeare, realizzato da Visconti al Giardino di Boboli nel 1951, soltanto nel 2014 è toccata la premiazione con un Oscar alla carriera a ben 87 anni. Quando aveva appena ventitré anni, gli fu commissionato da Visconti l’incarico di trovare gli abiti per Bellissima con Anna Magnani. La collaborazione col regista durerà un quarto di secolo, fino all’Innocente, ultimo film di Luchino Visconti. Tosi ha realizzato inoltre, per alcuni dei migliori film e registi italiani le sue creazioni, tra cui ci piace citare: Il bell’Antonio di Bolognini, Un amore a Roma di Dino Risi, Ieri oggi e domani di Vittorio De Sica, Medea di Pasolini, Il portiere di notte e Al di là del bene e del male di Liliana Cavani. Si possono apprezzare in mostra gli abiti indossati da Burt Lancaster e da Claudia Cardinale per il ballo e l’alta uniforme esibita da Alain Delon. Un altro importante allievo dello studio Sensani è Piero Gherardi, che il già citato Stefano Masi definisce il primo scenografo-costumista ad imporre ad alto livello e su vasta scala una visione totalizzante della figura del progettista visivo del film. Gherardi resterà nella storia del cinema per la sua collaborazione a quattro film fondamentali di Fellini: Le notti di Cabiria, La dolce vita, 8½ e Giulietta degli spiriti – che, proprio per merito dei costumi, il critico Morando Morandini etichetterà come “un film da sfogliare più che da vedere”. Ecco che cosa ha scritto Piero Gherardi a proposito dei vestiti realizzati per Giulietta Masina, interprete principale del film, nonché moglie del regista: Giulietta Masina mi tagliuzzava tutti i vestiti che le preparavo. Diceva che non erano belli quanto quelli delle altre attrici impegnate nel film del marito. Non crediate che sia facile avere a che fare con le attrici. Quando le hai ricostruite ben bene, con i tiranti, con le parrucche, con i vestiti adatti, loro sono capaci di non guardarti più in faccia, soltanto perché tu conosci esattamente i loro difetti. Ma cosa volete farci? Mi piace troppo fare l’architetto delle donne. Ecco ancora i vestiti indossati da Sylva Koscina e Caterina Boratto con quei copricapi così giganteschi che sembrano degli ombrelli oppure i pilei dei funghi. Ce n’è uno addirittura di Giulietta, bianco su abito bianco, che la fa sembrare proprio uno champignon… Non dimentichiamo inoltre che l’immagine scelta per la locandina della mostra è tratta proprio da Giulietta degli spiriti e raffigura Sandra Milo su un’altalena floreale con un abito bianco (presente in mostra naturalmente) e un cappello a cilindro sempre bianco con una veletta lunga che non nasconde affatto le sue forme procaci.
È la volta di Danilo Donati, costumista eccelso, che ha realizzato i vestimenti di quasi tutti i film di Pier Paolo Pasolini, ma anche quelli di Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli e quelli superlativi – secondo noi – del Fellini Satyricon: sembra quasi che Danilo abbia fatto un viaggio nel tempo per scoprire e riportare nel film gli indumenti dei romani all’epoca di Petronio Arbitro. Possiamo ammirare un abito molto composito, indossato da Silvana Mangano per l’Edipo Re di Pasolini. Donati ebbe come aiuto un sarto formidabile a nome Piero Farani, che collaborò con lui sia per le realizzazioni pasoliniane che per quelle felliniane. Fa un certo effetto sentire l’odore degli abiti indossati da Franco Citti e dalla Mangano e vederli dal vivo, mentre un proiettore rimanda in loop le scene con i vestiti esposti. Sempre di Danilo Donati sono le scenografie e i costumi del film Amarcord di Fellini, che, come tutti sanno, è una contrazione delle tre parole in dialetto romagnolo “a m’arcord” ovvero “io mi ricordo” e rappresenta un tuffo nell’Italia fascista, gradassa e olioricinosa, di cui ormai esistono soltanto pochissimi sopravvissuti umani; se dal punto di vista psicopolitico ci sembra che i costumi del film della vita contemporanea siano cambiati, gli scandali e i lassativi permangono a discapito dei poveri cittadini. Chissà che un giorno non lontano, per capire meglio l’Italia in camicia nera e quella di mafia capitale, basteranno, agli alunni delle scuole superiori, soltanto le visioni di Amarcord e della Grande Bellezza, a cominciare dai costumi indossati per finire ai costumi (o tempora, o mores!) adoprati e subiti. Che simpatica la Gradisca, la bellona romagnola interpretata perfettamente da Magali Noël, il cui nomignolo si riferisce alla volta in cui fu letteralmente “offerta” al principe ereditario in visita a Rimini. Sono in mostra il suo abito rosso con una pelliccia vistosa intorno al collo con il basco, sempre rosso, che indossa finanche a letto, mentre pronuncia la fatidica frase: Signor Principe… gradisca!
Siamo giunti all’esposizione della bottega Tirelli. La gloria di Umberto Tirelli si consacra con la collaborazione al Gattopardo, con quei magnifici costumi; da quel momento, insieme a Piero Tosi, realizzerà gli abiti di grandi film viscontiani, come Morte a Venezia, Ludwig e L’innocente, tre prove nelle quali dà il meglio della sua creatività sartoriale, trattandosi di film assai impegnativi dal punto di vista della vestizione dei personaggi che, a riguardarla ancora oggi, appare assolutamente magica. La collaborazione invece con Pier Luigi Pizzi (che, ottantacinquenne, ha da pochissimo firmato regia e costumi di un’Alceste bianchissima e purissima a Venezia) sarà per regie teatrali ed operistiche. Tosi ha esordito – come abbiamo già ricordato – come responsabile dei costumi di Bellissima, il primo film di Visconti, inaugurando un filone che sarà definito quello della ricerca di abiti presi dalla realtà, come avvenne per il tailleur indossato da Anna Magnani, che venne letteralmente “sottratto” (pagandolo, naturalmente) a una donna che lo indossava e quindi sottoposto a un bagno di tè per dargli la giusta tonalità. Una geniale allieva di Piero Tosi è Gabriella Pescucci, che lo ha affiancato nei film Medea, Morte a Venezia e Ludwig, ma ha collaborato con registi del calibro di Peppino Patroni Griffi, Mauro Bolognini, Luca Ronconi e Liliana Cavani. Ha inoltre lavorato per Sergio Leone e Martin Scorsese, che le hanno affidato il difficile compito di ricreare con rigorosa documentazione gli abiti dei film d’epoca da loro girati. Proprio con L’età dell’innocenza del 1993, di Martin Scorsese, conquista l’Oscar. Si possono ammirare in mostra gli abiti di questo film ed anche quelli realizzati per Le avventure del Barone di Münchhausen. Di un altro maestro già allievo di Tirelli, Maurizio Millenotti, troviamo i costumi del film di Tornatore La leggenda del pianista sull’oceano (1998), per cui ha condotto uno studio approfondito sulle crociere degli anni ’40, per ricreare fedelmente le vestizioni di quei tempi e della gente che andava per mare. Ma Millenotti ha lavorato anche per Fellini (E la nave va, La voce della luna), ottiene due nomination all’Oscar per Otello e Amleto di Zeffirelli e collabora con Mel Gibson per il crudo ed emorragico campione d’incassi La passione di Cristo. Grande emozione ci dà rivedere i costumi del Conformista di Bernardo Bertolucci indossati da Dominique Sanda e Stefania Sandrelli nella famosa scena del loro ballo scandaloso: sono opera di Gitt Magrini, nome d’arte di Rosa Chiari Solari, che ha collaborato anche con Truffaut e Godard. I due costumi messi uno accanto all’altro, scoprono solo ora per noi una segreta mescolanza e corrispondenza, in quanto la parte bianca di seta del costume bianco e nero della Sandrelli è fatto con la stessa stoffa del costume bianco della Sanda, quasi a enfatizzare la forte empatia, anche erotica fra le due donne.
Ecco finalmente i costumi che mi hanno tanto divertito nel film Roma di Fellini e precisamente quelli della sfilata clericale, un’idea che soltanto il regista riminese poteva avere e far realizzare: si tratta di una notevole quantità di vestimenti vescovili, arcivescovili, episcopali, papali, parapapali, peripapali ipopapali, superpapali, ultrapapali, con borchie, stelle, diademi, mitre fluorescenti, rubini, zaffiri, con disegni a forma di mandala, che stupiscono, meravigliano, divertono e spingono chiunque a vedere o a rivedere il film che prima della Grande bellezza di Sorrentino era il riferimento cinematografico unico e insuperabile della città. Sono opera di Danilo Donati e sono stati opportunamente allestiti in una sala di Palazzo Braschi, piena di affreschi cardinalizi e papali. Complimenti agli organizzatori.
Vediamo ancora i vestiti del Racconto dei racconti di Matteo Garrone tagliati da Massimo Cantini Parrini ed anche i bellissimi costumi indossati da Sordi nel Marchese del Grillo di Mario Monicelli, fabbricati da Gianna Gissi, dove scopriamo che, quel grande professionista che era Albertone, aveva chiesto di poterli avere un mese prima dell’inizio delle riprese, per poterli indossare e farci confidenza. Uno splendido tuffo nella memoria lo facciamo con la divisa di De Sica che interpreta il maresciallo Carotenuto nell’indimenticabile Pane, amore e fantasia di De Sica e i costumi di Giulio Coltellacci per La decima vittima di Elio Petri, interpretato da Marcello Mastroianni, con uno stile che fece epoca in quei tempi e lanciò la moda con giacche stilizzate, aderenti, con motivi geometrici e pop. Come non commuoversi davanti ai vestiti che Danilo Donati ha confezionato per il Casanova di Federico Fellini, ad uso e consumo di Donald Sutherland, che tanto ci fece viaggiare nei tempi di uno dei più grandi cronisti e testimoni italiani della sua epoca, l’uomo che trasformò per sempre il suo cognome nell’idea erotica e sognante più affascinante che ci sia per uomini e donne. Giacomo stesso sarebbe curioso di indossare queste creazioni così accurate, così eleganti, così irresistibili. Sapevamo che Lina Nervi esordì come costumista nel film I fuorilegge del matrimonio del 1963 che Paolo, il marito, e Vittorio Taviani, con Valentino Orsini, diressero. Ha poi collaborato con Ferreri, Bellocchio, Mazzacurati, Amelio ed ha vinto, con Habemus Papam di Moretti, nel 2011, il Nastro d’argento e il David di Donatello per i migliori costumi, di cui se ne possono osservare alcuni.
L’abito non fa il monaco, è noto. Ma l’abito spesso fa molto per l’attore e per il film che interpreta. C’inchiniamo davanti a questa sfilata di bellezza, frutto della bravura e della creatività dei sarti e dei costumisti italiani che hanno contribuito al successo della favola onirica che si chiama cinema.
(Marzo 2015)