Viaggio a Cracovia

Ottobre 2017

Ho ricevuto pochi mesi fa in estate un invito che accetto volentieri: inaugurare a Cracovia, presso l’Istituto Italiano di Cultura diretto dal dott. Ugo Rufino, la 17° settimana della Lingua Italiana nel Mondo, che si terrà tra il 16 e il 23 ottobre 2017. Questa partecipazione nasce da un suggerimento al Direttore dell’Istituto da parte di una gentile e colta amica, la dott.ssa Isabella Astorri, presidente della Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali del Molise, anche lei impegnata in questa avventura della Settimana della Cultura Italiana in Polonia. Sono davvero lieto di partecipare, dato che il tema proposto è Cinema e psicoanalisi, argomento per il quale ho una certa passione e sul cui tema ho pubblicato una trilogia: Pazzi per il Cinema, MediCineTerapie (Alpes, Roma, 2013), Regie dell’inconscio (Alpes, Roma, 2015) sulle radici psicoanalitiche del cinema italiano d’autore e Trancelluloide (Alpes, Roma, 2016), un dizionario di cinema e ipnosi (il primo al mondo, mi si perdoni l’immodestia ma è la semplice verità).

Avrei dovuto recarmi in Polonia oltre trent’anni fa, ma il programmato viaggio fu da me stesso annullato. Avevo già il biglietto in tasca per Varsavia, dove sarei andato a trovare a sorpresa una affascinante fanciulla polacca da me amata, che avevo conosciuto durante un episodio tragico, ma tutto sommato con esito non infelice, della mia vita. Nel 1985 ero Secondo Medico di Bordo della nave Achille Lauro, che fu sequestrata il 5 ottobre e tenuta in ostaggio da quattro palestinesi per 52 incredibili ed estenuanti ore. La sera prima avevo conosciuto – tra i componenti dell’equipaggio si viene sempre presentati in una riunione programmata ad inizio crociera – il gruppo artistico polacco che si esibiva durante la navigazione. Rimasi a dir poco stregato (letteralmente moonstruck!, ricordate il film?) da una bionda alta e occhicerulea – come direbbe Omero – danzatrice, che incontrai di nuovo a tarda sera sul ponte-passeggiata mentre la nave solcava un mare calmo colore del vino, come lo avrebbe definito sempre Omero. Ci risalutammo e scambiammo qualche parola, conoscendoci un po’ meglio e finì che facemmo in un paio d’ore il giro di gran parte della nave, complice una luna rotonda e romantica, che mi incoraggiò a chiederle, mentre la accompagnavo verso il suo alloggio, a darci un bacio. Lei, che era spiritosa e intelligente, mi disse: oggi mi sembra un po’ troppo presto, anche se mi sei simpatico… magari domani! E prima di chiudere dietro di sé la porta della sua cabina, rimase ad ascoltare la mia replica che fu: domani, domani, chissà che cosa potrebbe succedere domani e poi non ci baceremo mai! Mi guardò sorridendo e disse qualcosa come: Ma che vai dicendo, cosa vuoi, spaventarmi? prima di augurarmi la buona notte, strizzandomi uno dei suoi meravigliosi occhi celeste cielo. Forse cominciò lì la mia leggenda di Medico di Bordo voyant (tanto che un capitano detto “Braghelarghe”, ogni volta che succedeva qualcosa di strano o di pericoloso sulla nave, mi riteneva il responsabile, ignorante e malevolo com’era, e non si trattava del caro amico De Rosa, tengo a precisarlo). Il giorno dopo, alle ore 13.00 circa, la nave fu sequestrata e dirottata da quattro palestinesi e l’avventura durò oltre due giorni, concludendosi con l’uccisione dell’ebreo americano Klinghoffer e con la liberazione di tutto l’equipaggio e i passeggeri. Altre notizie sulla storia sono reperibili nello scritto O capitano, mio capitano… presente nel mio Diario Psicofuturista 2014-2015 (Lithos, Roma) e nella Sindrome del giudizio universale sul mio Psiche istruzioni per l’uso (Lithos, Roma, 2012). Potete immaginare che cosa successe dopo la liberazione, quando ci ritrovammo io e la fatale bionda polacca… Tornammo in Italia sulla nave e sembrava che stesse fiorendo una bella storia d’amore, supportata dalle mie indiscutibili e potentissime capacità profetiche. Ci eravamo scambiati indirizzi, telefoni e promesse ed io le avevo preannunciato che sarei andato a trovarla in Polonia, e lei non batté ciglio, pensando che fosse la solita promessa da marinaio, qual ero diventato da poco. Invece, appena sbarcato, acquistai un biglietto per Varsavia dopo neanche una settimana, sapendo di trovarla in Polonia a casa sua. Per uno scrupolo che si rivelò salvifico, le telefonai il giorno prima, dicendo che sarei atterrato a Varsavia in tardo pomeriggio ed ero pronto ad invitarla a cena. Mi rispose, con una voce rotta, forse dispiaciuta, ma anche timorosa e tristemente per me glaciale, così: …ma io sono fidanzata, e qui ho il mio compagno! Non ricordo precisamente cosa feci, forse sbattei il telefono e mandai a quel paese l’amore, la Polonia, gli occhi azzurri, la luna e le bionde. Il giorno dopo, allora queste pratiche si potevano fare, cambiai il mio biglietto e partii per Parigi, dove mi accolse un amico che lavorava all’Istituto Italiano di Cultura e rividi per la seconda volta Parigi, che mi apparve un toccasana e mi ricordò il vecchio detto riferito da Proust che per ogni uomo che trova Dio, dieci hanno scoperto Parigi!

Dunque, i miei conti con la Polonia sembravano definitivamente chiusi, finché non ricevo l’invito del simpatico, saggio e illuminato Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia, che mi offre la seconda chance di mettere piede in Polonia, dove non pensavo mai più di recarmi. Questa storia l’ho raccontata anche all’inizio della mia conferenza in Ulica Grodzka, 49, la sera del 16 ottobre 2017, perché mi sembrava significativa.

Ho incontrato, quella sera dopo la conferenza, stagisti dell’Istituto di Cultura curiosi e preparati, insieme a tante persone colte ed istruite, soprattutto giovani, che imparano l’italiano presso questa onorevole struttura del Ministero degli Esteri, e ho potuto apprezzare la presenza del giornalista Jas Gawronski che mi ha stretto la mano complimentandosi per la mia disquisizione ed anche ho avuto l’onore di ricevere le lodi sincere di Antonio Pischetola, presidente della Società Dante Alighieri di Katowice. Inoltre, vorrei soltanto accennare per non autoincensarmi, alle amichevoli e generose parole di stima e lode spese per me dalla presidentessa Isabella Astorri e dal Direttore dell’Istituto.

Che cosa fare a Cracovia in pochi giorni? La scelta, il giorno dopo è tra la mitica miniera di Sale di Wieliczka e la possibilità di raggiungere la famosissima Fabbrica di Schindler (Fabryka Emalia Oskara Schindlera in polacco) dove è stato girato l’altrettanto famoso film Schindler’s List – La lista di Schindler di Steven Spielberg, meritato vincitore di sette statuette del Premio Oscar nel 1994. Tutti al mondo conoscono la storia dopo questo film, che celebra la bontà, la bravura e l’astuzia dell’imprenditore tedesco Oskar Schindler, che salvò circa 1100 ebrei dallo sterminio dei nazisti. La visita è commovente, ma lo è particolarmente per me, in quanto sono grande amico da circa quarant’anni di uno degli ultimi sopravvissuti della Lista di Schindler, il medico polacco, ma da oltre sessant’anni cittadino americano, Aleksander Białywłos, al secolo Alexander B. White, di anni 94 residente in Arizona. Confesso di essermi commosso nel leggere il nome di questo mio carissimo amico in una stanza che contiene un cilindro immenso con su incisi tutti i nomi delle persone salvate da Schindler durante la Seconda Guerra Mondiale. Alex aveva 14 anni quando scampò alla morte grazie alla lista dell’industriale eroe e ho raccontato all’amico Nico Ioffredi, Assessore alla Cultura del Molise, che mi accompagnava, la storia che ho sentito direttamente dalla bocca del sopravvissuto futuro nostro collega, alla terribile “pulizia etnica” nazista, e di come questo vecchio amico ricordasse ogni volta con trepidazione, come fosse accaduto il giorno prima, l’uccisione dei genitori e della sorella, il gesto del padre che sta per essere fucilato che gli consegna una pagnotta di pane dicendogli: Tienila tu, io non ne avrò più bisogno. La fotografia del nome polacco di Alex che vedete

è stata scattata proprio dall’amico assessore, dato che il mio telefonino non riusciva a metterla a fuoco. Voglio aggiungere che questo bravissimo medico, che ha lavorato per lungo tempo a Chicago come internista e nefrologo, ha scritto un libro di memorie dal titolo Be a Mensch: Holocaust Memoirs nel 2004, che è una lettura davvero commovente ma piena di speranza. In quest’opera viene raccontata la sua tragica storia e – non ci crederete – ogni anno, da oltre cinquant’anni, egli si prodiga a incontrare nelle scuole sia americane che polacche, gli studenti nelle scuole, per ricordare l’odio e la follia dei nazisti e le conseguenze orripilanti che ne vennero fuori. Ma soprattutto egli punta il dito sull’indifferenza, in quanto troppe persone vedevano e sapevano degli orribili crimini perpetrati nel ghetto e nei campi di concentramento e non fecero nulla per cambiare le cose. Per fortuna personaggi come Schindler o Perlasca in Italia, tennero alto e vivo il concetto di umanità, che non può avere nessun valore se non ci occupiamo anche degli altri e pensiamo solo a noi stessi. Nessuno di noi è un’isola e soltanto nella vita in comune possiamo manifestare la nostra essenza. Il mio maestro Aldo Carotenuto sottolineava sempre che senza gli altri noi forse non esistiamo neanche. Nel caso del nazismo e degli episodi storici che hanno portato allo sterminio di etnie diverse (pensiamo all’Armenia, al genocidio del Ruanda e a tanti altri di cui ho già parlato in Santi, eroi, vittime e carnefici dell’ambiente pubblicato sul n. 6 della rivista Psiche Arte e Società da me diretta), possiamo pensarla come Sartre, che asseriva che l’inferno sono gli altri. Facciamo un giro nel ghetto e ricordiamo insieme all’amico Nico il film di Polanski, Il pianista, del 2002 (anche questo vincitore di ben tre Premi Oscar) e attraversiamo Plac Bohateròw Getta, la Piazza degli eroi del ghetto, che è disseminata di circa 70 sedie in metallo, diverse tra loro, che stanno a ricordare tutte le sedie portate in piazza nel marzo 1943, durante la liquidazione del ghetto. Questa storia è raccontata anche nel bellissimo libro Il farmacista del ghetto di Cracovia scritto dal farmacista Tadeusz Pankiewicz (e che ho divorato in pochi giorni), un polacco che rifiutò di spostare il suo lavoro dal ghetto, ostinandosi e, come dice lui, anche corrompendo i nazisti, a non abbandonare la sua farmacia, dato che non era ebreo e rifiutandosi di prenderne un’altra fuori del quartiere. Grazie a questa scelta riuscì a salvare la vita a tante persone e fu di aiuto a uomini, donne e bambini che necessitavano di farmaci. Questo altro eroe fu uno dei maggiori accusatori dei criminali nazisti, con una testimonianza e conoscenza dei fatti davvero unica al Processo di Norimberga del ’45. La mitica farmacia All’Aquila da lui gestita si ritrova in parte oggi nel Muzeum Farmacji di Cracovia, che è probabilmente il più bel museo della farmacia al mondo, grazie all’intelligenza e alla cura dei fondatori e a Piotr Trzos, un gioviale e sveglissimo amministratore di questa raccolta di oggetti, mobili, vasi, mortai e antichi strumenti farmaceutici, come i compressori metallici manuali delle pillole che provengono non soltanto dalla Polonia, ma da donazioni di buona parte dell’Europa. Un’intera sezione è dedicata appunto ai resti della Farmacia All’Aquila del dottor Pankiewicz, ma ho potuto apprezzare, grazie alla visita guidata del gentile dottor Piotr una farmacia in stile Biedermeier, il mio preferito, proveniente da Zercow, seconda metà del XIX secolo. Il mio percorso guidato al museo è stato favorito dal Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia, la sera dopo la mia conferenza, appena terminata la bella illustrazione dei siti di interesse internazionale del Molise, da parte di Isabella Astorri. Il dottor Ugo Rufino mi ha presentato il gentiluomo Piotr Trzos, che mi ha dato appuntamento il giorno seguente per accompagnarmi nella visita. Lui è apparso subito molto contento di poter esibire questo vero tesoro dell’umanità, che consiglio di andare a vedere se vi recate a Cracovia, soprattutto se siete medici, farmacisti o chimici o ricercatori del campo. Ma chiunque resterà ammaliato, promessa di figlio, nipote, fratello e cugino di farmacisti! Questa mia ascendenza e parentela così stretta con il mondo dei farmacisti, ha reso ancora più piacevole la chiacchierata con il simpatico signor Piotr, che è stato lusingato dai miei complimenti e si è dilungato insieme a me nell’ammirazione della fantastica collezione Grabowski, sempre appartenente al museo, composta da 83 vasi di maiolica realizzati tra il VI e XIX secolo e donati nel 1976 al Museo di Cracovia dal farmacista polacco Mateusz Grabowski. Questi, nel 1940, dopo aver studiato farmacia all’Università Stefan Batory in Vilnius, partecipò allo sbarcò in Bretagna con le forze polacche e gestì in seguito una farmacia nell’attuale Regno Unito.

Come mi ha ricordato la mia guida filo-farmaceutica, il dottor Pankiewicz ottenne il classico albero piantato nel Giardino dei Giusti di Gerusalemme, ideato da un ebreo salvato proprio da Oskar Schindler durante la Shoah, Moshe Bejski, e dedicato a tutti le persone non appartenenti all’etnia ebraica che hanno salvato la vita a ebrei durante il nazismo e il fascismo. Desidero ricordare che anche l’italiano Giorgio Perlasca è uno dei Giusti tra le Nazioni, avendo salvato oltre cinquemila ebrei ungheresi durante la ferocia nazista. Ma che bella Cracovia con le sue strade larghe attraversate da carrozze bianche e cavalli bianchi che trasportano turisti in itinerari consueti e inconsueti! Mi hanno scritto prima e durante il soggiorno diverse e-mail gli amici di Alex, da lui avvisati, che vivono a Krosno, che erano pronti a farmi conoscere la città del nostro comune amico. Ma il mio volo aereo di arrivo non mi ha consentito di affrontare il giorno stesso un altro viaggio di circa sei ore, e devo rimandare alla prossima visita in Polonia, prevista per la primavera entrante, con la presenza, naturalmente, di Alex B. White, che si sta già preparando alla trasferta. Nel tragitto tra l’accogliente e confortevole Hotel Pod Rosa e l’Istituto Culturale, vengo avvicinato ogni volta (saranno non più di 5-700 metri) da almeno tre o quattro fanciulle e un paio di ragazzi che mi invogliano ad entrare a bere qualcosa in un locale o ad assistere a qualche show dell’orrore. Mi colpisce l’educazione e la gentilezza con la quale non insistono al mio semplice “grazie, non sono interessato”. Scopro dagli amici giovani stagisti che frequentano l’Istituto Culturale che Cracovia è frequentata da oltre centomila studenti tra stagisti, universitari Erasmus o ventenni e trentenni europei decisi a tentare il lavoro in una nazione in netta ripresa, abitata da gente dolce e simpatica, tenera e amichevole. Non dimentichiamo che dal 1981 al 1989, un certo generale Jaruzelski istituì la legge marziale in Polonia e la sua dittatura ebbe fine dopo otto anni, periodo in cui ci fu una fuga di polacchi verso gli stati europei e gli USA. Lo stesso cordialissimo autista dell’Istituto Culturale, Tadeusz Dudka, che ci ha accolti all’aeroporto, ci ha raccontato che nel 1985 fuggì da Cracovia in Italia dove imparò la lingua lavorando come autista-fattorino. Facciamo rapidamente amicizia con tutti i ragazzi e ragazze che prestano servizio al nostro hotel e al ristorante. C’è un giovane che conosce benissimo il cinema italiano e un’altra che si mantiene agli studi, e chi è soltanto un giovane lavoratore, ma l’impressione psicologica che ricaviamo è una delicatezza ammirevole e una cortesia inaudita in questi ragazzi che vanno all’università e contemporaneamente lavorano e sono figli di una libertà e di una democrazia da poco conquistata dai genitori. Sicuramente l’effetto Giovanni Paolo II, l’ormai Santo Wojtyla eletto Papa nel ’78 avrà giocato un ruolo favorevole nell’integrazione in Europa e in America del Nord di tanti polacchi fuggiti e poi, per chi ricorda la primavera gioiosa di Lech Wałęsa, che fu presidente della Polonia tra il 1990 e 1995, nonché Premio Nobel per la Pace nel 1983, bisogna che ascolti le parole attuali dell’ex capo di Solidarność, che denuncia il rischio della perdita dell’autonomia dei giudici. Il pericolo totalitario e antietnico è sempre in agguato dovunque, basti pensare all’orrore degli adesivi con fotomontaggi di Anna Frank con la maglia della Roma ad opera di alcuni tifosi laziali, notizia che in questi giorni impazza sui giornali italiani e fa ribollire tutte le tensioni forse mai sopite di odio razziale anche in Italia e mette a dura prova la pazienza di quanti operano per la pace e l’armonia. Questo è il vero orrore, quell’orrore di cui parla in Cuore di tenebra un grande scrittore polacco, Józef Teodor Nałęcz Konrad Korzeniowski, poi naturalizzato inglese e diventato Joseph Conrad, uno dei più grandi scrittori mai esistiti. La psicoanalisi vuole essere anche questo, deve essere una difesa, un baluardo contro l’orrore perpetrato dagli uomini che hanno perso il lume della ragione e si nutrono di odio e di armi nel desiderio sconsiderato e folle di eliminare un nemico che altri non è che una parte di loro stessi, la vecchia storia di Jekyll e Hyde, insomma. La psicoanalisi vive dalle parti di Schindler, di Pankiewicz, di Wałęsa, di Conrad e di Jerzy Kosinski; anche quest’ultimo polacco, autore del bellissimo libro Presenze (di cui abbiamo già parlato nell’articolo Il fattore R presente in Pazzi per il cinema – MediCineTerapie), e il cui messaggio è stato trasposto in maniera stupenda nel film Oltre il giardino di Hal Ashby, è pieno di segnali di pace, armonia e semplicità. Ringrazio l’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia per l’invito e la splendida occasione di visitare anche se brevemente un po’ di Cracovia. Mi complimeneto anche per la bella e fornita biblioteca dell’Istituto, dove ho trovato con piacere anche un testo del mio maestro Aldo Carotenuto. Ho lasciato i miei tre testi psicocinefili e posso dire ora con soddisfazione e un pochino d’orgoglio che ho superato il mio maestro… almeno nel numero dei libri presenti all’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia.

Non posso terminare senza fare un confronto con un altro Istituto Italiano di Cultura in Europa, il cui direttore in occasione della mia pubblicazione del Manifesto del Movimento Psicofuturista, alla mia offerta di fare una presentazione del libro proprio cent’anni dopo la pubblicazione del Manifesto del Movimento Futurista di Marinetti nella città di cui si parla, l’allora responsabile mi ricevette per dieci minuti (pur avendo io una lettera di presentazione di tutto rispetto che non richiedeva alcuna raccomandazione, ma l’autorevole relatore si augurava soltanto che una novità culturale fosse ben accolta, date le coincidenze e il valore dell’opera, sottolineando soltanto il valore del mio curriculum) senza staccare gli occhi dal computer dove stava scrivendo chissà quali preziosità, mi congedò dicendo che mi avrebbero fatto sapere. Ho saputo soltanto, invece, che ormai questo direttore non riscalda più quella poltrona che è sostenuta con le tasse di noi italiani e che dovrebbe rappresentarci e possibilmente divulgare la nostra creatività.

Grazie Ugo Rufino per rappresentare l’Italia in modo così attivo, brillante, disponibile, utile e benefico per la Polonia e per la nostra nazione. Ad maiora!

Pubblicato da

Amedeo Caruso

Presidente del Centro Studi Psiche Arte e Società, direttore dell'omonima rivista. Medico-Chirurgo, specialista in Medicina Interna, Psicoterapeuta, Esperto in Bioetica.