In morte di Massimo Fagioli: due storie parallele

Estratto da Pazzi per il Cinema (Alpes, Roma, 2013)

PSICOANALISTI E REGISTI TRA DIVANO E CINEPRESA

Mettiamo subito le carte in tavola. I personaggi principali di questa psico-inchiesta sono i registi Marco Bellocchio e Blake Edwards e i rispettivi psicoanalisti Massimo Fagioli e Milton Wexler. Tema: che cosa succede quando un bravo regista, come i due suddetti, chiede aiuto al suo psicoanalista per girare un film? E precisamente: che cosa viene fuori da questa collaborazione? Antefatto: Marco Bellocchio è stato coadiuvato, nella confezione di ben tre film, dalla sceneggiatura (in collaborazione o esclusiva) di Massimo Fagioli. Questi film sono a nostro avviso degli ottimi film. Diavolo in corpo (1986), La condanna (1991) e Il sogno della farfalla (1994) sono grandi momenti poetici e rivoluzionari nella filmografia del cineasta parmense, che non ha mai nascosto il suo accostamento alla “psicoanalisi fagiolina”, conosciuta durante i famosi anni delle interpretazioni dei sogni collettive in grandi spazi, di questo guru romano, alla presenza di un folto pubblico paziente, sognatore e adorante. Blake Edwards, famoso in tutto il mondo per la fortunata serie de La Pantera Rosa, ma anche del magico Colazione da Tiffany, ha chiesto aiuto al suo ben più famoso psicoanalista hollywoodiano Milton Wexler, che, anche per farlo uscire da una crisi creativa, gli ha confezionato due sceneggiature ad hoc per i film I miei problemi con le donne (1983) e Così è la vita (1986). Entrambi i film sono assai gradevoli, l’uno un remake del glorioso omonimo di Truffaut, l’altro una storia di un ipocondriaco da manuale, interpretato da Jack Lemmon, alle prese con le sue malattie immaginarie, forse ispirato alle reali problematiche del regista. In America e in Italia molti esperti del ramo psicoanalitico hanno gridato allo scandalo dell’acting out, ossia allo sforamento della regola di non mescolare mai le vite private con quelle dei pazienti e viceversa. La semplice risposta di entrambi i registi è stata uguale. Non hanno visto niente di male nel chiedere ed ottenere una collaborazione innocua, anzi terapeutica, all’analista, e così si sono difesi gli analisti. L’americano Wexler ha risposto per le rime ai freudiani ortodossi che lo biasimavano, dicendo che in fondo anche Freud era stregato dalle stelle (star-struck), in quanto stabilì una aurea amicizia con una nobile paziente. La principessa Marie Bonaparte divenne una sua supporter economica ed editoriale, organizzando perfino la sua fuga-esilio a Londra grazie alle sue conoscenze altolocate, sborsando denaro anche per ottenere il salvacondotto per Sigmund e famiglia, con sosta obbligatoria e sensazionalistica a Parigi, patria della aristocratica nouvelle psychanalyste. Solo che Wexler si è fermato lì, mentre Fagioli ha fatto un passo più lungo e falso, dirigendo per conto suo un film, Il cielo della luna, che Marco Giusti nel suo Dizionario dei film italiani stracult (1999, Sperling & Kupfer) definisce così:

Attenti. È il primo e unico film dello psicoanalista di Bellocchio, Massimo Fagioli. Se lo scrive, dirige e interpreta pure. Non l’ha visto nessuno, però. La storia è fantastica, con una donna architetta divisa tra l’amore per uno psichiatra e un clochard, che è in realtà anche lui uno psichiatra. Senza scampo. Probabile supercult.

Chi scrive ha cercato inutilmente di procurarsi una copia del film, senza successo. La libreria Amore e Psiche di Roma, che era supposta venderli, è stata chiusa, e fino ad ora, mentre scriviamo, abbiamo soltanto ricevuto un messaggio dalla stessa associazione culturale che ci comunica che il film deve essere rieditato. In attesa siamo andati a cercare altre notizie e abbiamo parlato con qualcuno che è riuscito a vederlo, il cui giudizio coincide con quanto abbiamo letto, e che trascriviamo, dal sito mymovies.it:

…si tratta di un film involuto nel senso basso del termine. Non bastano una donna vestita di giallo che si allontana, dei passi silenziosi, un bacio ritrovato ecc… per fare un film o, meglio, potrebbero essere un buon inizio per qualcuno che si chiamasse Ingmar o Luis, non certo per un Massimo che, a torto, si ritiene tale…

Vi inviterei però a vedere i tre film di Bellocchio e magari, dopo, anche i due di Edwards. Come sceneggiatore preferisco Fagioli, più originale, più intenso, più pregnante. I miei problemi con le donne procede sulla falsariga del capolavoro francese, e That’s life è un’operina minore nella estesa produzione di Edwards, non certo memorabile quanto Hollywood Party, S.O.B., Victor Victoria, 10, Uno sparo nel buio. Detto questo, usatemi la gentilezza di procurarvi i tre film anzidetti di Bellocchio complice il Fagioli sceneggiatore, e mi ringrazierete. Per ora vi offro degli smörgåsbord (un piatto svedese che contiene piccoli assaggi di tutte le varietà del ristorante, un micro-menu degustazione) di ciascuno dei tre.

Diavolo in corpo, quando uscì, ebbe una grande risonanza per diverse ragioni. Intanto perché ci sono delle scene erotiche esplicite con la presenza di una bellissima attrice, Maruschka Detmers. Inoltre il film tratta di terrorismo e quelli erano anni in cui le molte ferite delle Brigate Rosse inferte al potere e alla politica italiani erano ancora dolorosamente sanguinanti. Bellocchio e Fagioli trasferiscono ai tempi degli anni di piombo italiani una storia d’amore che (curiosamente come I miei problemi con le donne di Edwards il cui soggetto è preso interamente da Truffaut) è ispi- rato al libro di Radiguet omonimo da cui Claude Autant-Lara nel 1947 estrasse il grande film con Gérard Philipe e Micheline Presle. In quest’ultimo, dove si celebra l’antimilitarismo e l’amore, una donna affascinante che ha il marito ufficiale in guerra, incontra un uomo più giovane di lei, di cui si invaghisce e con cui fa un figlio, morendo però di parto. Nel film di Bellocchio, l’esordiente affascinante Detmers impersona Giulia, una giovane donna psicolabile, il cui padre è stato vittima delle Brigate Rosse ed ora lei è promessa sposa a un pentito. Ma viene notata da Andrea, un liceale che si infatua di lei e ne è letteralmente stregato. La segue fino al processo, dove viene mostrata una scena realmente accaduta, di una coppia di terroristi che hanno un rapporto sessuale all’interno delle sbarre del tribunale, a malapena coperti dai compagni. Tra i due protagonisti scoppia una violenta passione che metterà in crisi il rapporto di Giulia con il futuro marito. Si tratta di un film ancora attualissimo, per la sua forza dimostrativa dell’amore che è sempre rivoluzionario, soprattutto più delle bombe e del terrorismo, che sono sempre fallimentari. Inoltre ci incoraggia a non aver paura delle nostre emozioni e soprattutto a non temere quel pizzico di follia che abita dentro di noi. La condanna si svolge nel meraviglioso Palazzo Farnese di Caprarola (che vi invito a visitare se non lo aveste già fatto), che rappresenta anche un aperitivo per una eventuale visita da me sinceramente consigliata. La trama è piuttosto semplice, ma è assai difficile il nodo da districare. Due sconosciuti si incontrano nel magnifico palazzo pentagonale pieno di dipinti e di anfratti artistici, finendo per fare l’amore, dopo essersi accorti di essere rimasti chiusi dentro. Consumato il piacere, lui le mostra le chiavi che invece aveva per l’uscita. Trascinato in tribunale, non oseremo dirvi come andrà a finire, se non lodare la bravura dell’eccellente attore Vittorio Mezzogiorno, troppo presto rubato dalla morte all’affetto dei cari e del pubblico e della disinvolta e attraente attrice Claire Nebout, e con una riuscita intrusione nel giardino proibito di un magistrato. L’ultimo film, Il sogno della farfalla, parla di un ventenne che si è chiuso nel silenzio per protesta contro l’infinita vanità del mondo. L’unica sua possibilità comunicativa resta quella del teatro, si esprime solo parlando attraverso i testi dei grandi. Il padre è adirato; la madre, che è una poetessa, tenta di capirlo; il fratello, positivista, lo nega; la fidanzata lo ama così com’è. Si tratta di un film pieno di poesia e di simboli, non può essere raccontato senza che si perda tutta la sua ricchezza. Rappresenta l’isola del tesoro che conviene cercare, tutti noi, almeno una volta nella vita. Le influenze psicoanalitiche sono presenti fin dal titolo, in quanto la farfalla è l’animale per eccellenza che simbolizza la trasformazione, il cambiamento di stadi, da crisalide strisciante a bellezza volante.

Nell’augurarmi che questi “stuzzichini” vi abbiano incoraggiato a prendere visione dei film in questione, sento il dovere di ricavarmi una conclusione, che è questa: la migliore sceneggiatura non vale niente senza un bravo regista, una mediocre idea di rame può trasformarsi in oro con l’alchimia di un geniaccio del cinema, ma una bella storia sarà sempre rovinata dalle mani di un cineasta asino.

Per quanto riguarda Fagioli, insomma, gli tributo un grande plauso per i tre film predetti, ma in quanto al suo, benché curioso di vederlo, ma introvabile, come sostiene Marco Giusti e i rivenditori, nel frattempo invoco l’amato Flaiano chiedendo in prestito una sua battuta al vetriolo, a proposito di certi film: Non l’ho visto e non mi piace!

P.S.: Se poi volete sapere di un cineasta che ha sicuramente tanta voglia di fare lo psicoanalista, rivolgetevi al Moretti di Sogni d’oro, de La stanza del figlio e di Habemus Papam. A proposito di quest’ultimo film, se Nanni avesse mai messo piede in una stanza d’analisi, crediamo che il suo psicoanalista deve averlo parecchio contrariato o deluso, data la figura meschina che ci fa fare, moglie analista compresa.

Pubblicato da

Amedeo Caruso

Presidente del Centro Studi Psiche Arte e Società, direttore dell'omonima rivista. Medico-Chirurgo, specialista in Medicina Interna, Psicoterapeuta, Esperto in Bioetica.