Andate a vedere Nella casa di François Ozon del 2012. Se non avete ancora letto Le mille e una notte, nel film troverete una facile introduzione a questo magico libro. Se volete ripassare i concetti freudiani e junghiani di proiezione, ombra, edipo, scoprendoli nelle situazioni dell’opera, sarete serviti. Ma soprattutto se volete assistere a una magnifica lezione sull’immaginazione, accomodatevi. Tratta dalla piéce teatrale El chico de la última fila di Juan Mayorga, uno degli scrittori spagnoli più amati del momento, la sceneggiatura del film è opera del regista. Che ci ha già affascinato per almeno due film precedenti, 8 donne e un mistero (2001) e Swimming pool (2003). Non intendo, non voglio proprio raccontarvi la storia. Cercherò invece di invogliarvi ad andare a vederla. Nemmeno chi non ha mai letto le Mille e una notte ignora la storia alla base di tutti i racconti: un sultano tradito e annoiato fa uccidere tutte le donne con le quali trascorre una notte finchè arriva Sheherazade (mai sentite le musiche di Rimskij Korsakov ispirate a lei? Beh, vale la pena di fare anche quest’altro sforzo!) che inventa un trucco imaginifico per salvarsi la vita notte dopo notte. Non conclude mai la storia che sta raccontando al califfo, promettendo di proseguire la notte seguente e creando così l’attesa, la suspance, senza mai giungere alla fine. È quello che fa il giovane protagonista Claude (Ernst Umhauer, attore davvero promettente), con un maturo professore di italiano German (Fabrice Luchini) che tiene molto alla Scuola e alla Letteratura. Il colpo di fulmine accade quando, in classe, quasi tutti consegnano un compito semplice (Come ho trascorso il fine settimana), svolgendolo in maniera insulsa. Tutti tranne uno: il nostro eroe. Che descrive un suo weekend davvero intrigante. La narrazione di un tentativo di inserimento in una famiglia borghese attraverso il figlio, un coetaneo, suo compagno di classe. La descrizione attenta e spietata dei comportamenti della “banale famiglia borghese” nella quale vuole intrufolarsi Claude, rivela aspirazioni innegabilmente artistiche, da scrittore. Questa vocazione viene immediatamente riconosciuta dal docente di italiano, dotto lettore e autore lui stesso di un romanzo pubblicato anni prima senza successo. Ma il suo protetto ha stoffa. Bisogna aiutarlo. Così ci troveremo a contatto di Kafka e Flaubert, Balzac e Dickens mescolati con la vita vera. Già, perché la Letteratura, i Libri, sono anche la Vita, si confondono con essa, la avvolgono, la superano, la rendono migliore, più accettabile. L’universo del futuro scrittore si ciba della vita, che altro c’è? La dipinge, ce la fa capire meglio, con tutte le sue bruttezze e meraviglie. Spesso però la forza dello scrittore nasce dalla mancanza, dalla sofferenza, dal bisogno di cambiare qualcosa dentro il suo universo personale, tanto per cominciare. Poche frasi e una sola immagine ce lo dimostreranno. Fate attenzione. Non vi dirò come – ma vi appassionerà – il prediletto del docente di italiano sarà capace di entrare nella squallida vita di una insignificante famiglia “normale” e di trasformarla. Anzi, entrerà anche nella meno banale ma sempre piatta vita del suo tutore, nella vita sentimentale dello stesso, provocando profondi cambiamenti anche qui. Stravolgerà le vite delle due donne delle famiglie e le renderà nuovamente feconde e progettuali. Ci farà capire finalmente – filmicamente vorrei dire – perché Flaubert amava ripetere Madame Bovary c’est moi. La scrittura è la vita. Ecco cosa ci narra questo film, per ricordare il titolo di un altro libro, di George Semprun, non citato nella pellicola. Ci spiega che cosa è la lettura, la letteratura. Un libro tira l’altro. Anche la vita è così. Un giorno tira l’altro. E la psicologia? Ci aiuta a capire che cosa fare di un giorno dopo l’altro e di comprendere che cosa è successo, non solo negli eventi concreti, ma anche nelle nostre teste e nei nostri cuori. La psicoanalisi, degna compagna della letteratura, ci aiuta a interpretare le azioni dei nostri colleghi mortali e nostre. Capire vuol dire possibilità di cambiare. Cambiare significa migliorare, sempre se abbiamo il coraggio di modificare quel che non ci piace di noi. La psicoanalisi ci spinge a cercare un senso dentro le nostre scelte e a muoverci dentro la foresta di simboli che è l’esistenza, come ha intuito Baudelaire. Non svelerò, com’era nei patti, il finale. Ricorderò invece quel che dice W.B. Yeats, neanche lui citato nel film, ma secondo me presente ugualmente: Le intense passioni ci distruggono la vita nello stesso tempo in cui ce ne svelano la plenitudine e la bellezza.
Tutto questo in un film. Vedere per credere.
Questo articolo sarà pubblicato in cartaceo tra breve nel mio prossimo libro sul cinema.