L’Italiana in Algeri di Rossini compie quest’estate duecento anni, ma non li dimostra. Rossini continua ad essere nostro contemporaneo. E lo è anche per merito di Angelo Anelli, autore del libretto della amabile, fresca, giocosa opera musicata all’età di ventuno anni (!) dal genio di Pesaro. L’attualità psicologica dell’opera consiste nel mettere in scena l’intramontabile problematica dei rapporti uomini-donne. Metti, un giorno, il bey di Algeri, dal nome archetipico di Mustafà, che si stanca della sua amata. Il musulmano, si sa, ha donne sempre remissive e obbedienti: Qua le femmine son nate / solamente per servir (cos’è cambiato da allora?). Metti, poi, che il califfo, stufo della sua consorte Elvira, voglia (voglia!) che gli si procuri un’italiana; perché le italiane, si sa, sono femmine indomabili, ma fantasiose e indipendenti, misteriose e suscitatrici di attrattive amorose. Metti, ancora, che il sultano annoiato (Una moglie come questa, / dabben, docil, modesta, / che sol pensa a piacere a suo marito, / per un turco è un partito assai comune) sfidi addirittura la legge di Maometto, che non consentirebbe il suo piano: ripudiare la sua sposa ed unirla in matrimonio ad uno schiavo italiano, Lindoro, catturato tempo addietro, sempre innamorato della sua perduta Isabella. Quest’ultima, in seguito di un naufragio, approda, invece, proprio sulle coste africane, dove la rinviene il capo dei corsari di Mustafà, Haly, che aveva avuto l’incarico di procurargli una bella italiana. Ricordiamo che è stato proprio Lindoro l’incantatore del pascià, che lo ha spinto a desiderare le fascinose donne italiane. E lui sarà la vittima designata a togliere di torno dal tiranno la povera Elvira. Il prepotente (Altra legge io non ho, che il mio capriccio) si pavoneggia forte del suo potere, ma non sa a cosa andrà incontro. La storia si presta a una moderna critica di usi e costumi. Su due campi contrapposti si esibiscono da una parte il mondo musulmano – tutto sommato sempre uguale e coerente – con le donne remissive, velate e reificate; dall’altro lato il pianeta occidentale, che pur vantando donne emancipate e seducenti, rivela, ai tempi d’oggi, un maschile assai diverso da quello dei tempi cavallereschi di Rossini e Anelli, ma purtroppo dedito ancora al disprezzo del femminile fino al femminicidio. Tutto si ricomporrà nell’opera, dato che Isabella farà impaurire così tanto il moro, da voler fuggire per sempre dalle donne italiche e i due amanti separati ritroveranno l’unione perduta, assistendo anche alla riconciliazione di Mustafà con la sua Elvira. Per noi che abbiamo assistito, sempre al Rossini Opera Festival nel 2006, alla Italiana in Algeri confezionata da Dario Fo, con le ali della leggerezza e del buonumore, non è stata un’impresa facile dimenticare una pietra di paragone (per dirla alla Rossini) come quella. Ma questa versione “pop”, con dichiaratissimi richiami a Roy Lichtenstein e alle sue passioni fumettistiche, con divertenti scene e costumi anni ’60, si affianca a quella memorabile predetta, convincendoci che il regista Davide Livermore (più fegato di così!) ha congegnato una messa in scena davvero originale e simpatica. Pensiamo anche all’overture che ricorda una delle icone (ancora viva e vegeta) degli anni kennediani: James Bond, l’agente 007, i cui panni veste il tenore cinese Lindoro, con pistola e licenza di farsi catturare dai cattivoni algerini, per poi vincere la partita finale con tanto di bond-girl in premio. Il tocco creativo del regista si estende ad una coppia di hostess di una linea aerea non specificata, ma sicuramente quella dello spettacolo a cui assistiamo, che dà istruzioni soltanto articolate con le mani, secondo il metodo delle assistenti di volo vere. Non è certo una scuola delle mogli molierana, quella a cui assistiamo, ma mogli a scuola da Isabella, che sistema a dovere l’esuberante Mustafà (assai pittoresca è la scena in cui il pube gli fuma letteralmente, per aver ingerito troppe pasticche blu romboidali… sebbene il Viagra sia l’unica presenza che non fa anni Sessanta, gliela perdoniamo volentieri). Il feroce saladino verrà umiliato con la nomina a membro del Club dei Pappataci, che lo confermano il vanesio stra-parlatore che è, per merito di Taddeo, il basso, che si vendica finalmente anche lui per essere stato eletto Kaimakan proprio da Mustafà. Per questa versione, della regia abbiamo già detto, la direzione musicale di José Ramòn Encinar armoniosa e corretta, le voci intonate e spigliate. Le scene e il progetto luci di Bovey e i videodesign di D-Wok assai commemorativi, specie per chi, in Italia, ricorda ancora il volto angelico di Gabriella Farinon e gli intervalli televisivi con le pecore pascolanti.
È noto che Stendhal, più vecchio di Rossini soltanto di nove anni, fu autore di una biografia dello stesso, che è un vero tesoro di notizie e considerazioni sulla musica rossiniana (ma non solo) e sulle arie del tempo. Ricorriamo dunque a Henri Beyle per trovare l’acqua giusta per il mulino dello psicoanalista. Lo scrittore francese innamorato dell’Italia e dell’opera buffa tricolore se la prende con i togati letterati parigini del Journal des Débats,
che hanno giudicato l’azione (dell’Italiana in Algeri) folle, ma non si accorgono – poveretti – che se non fosse folle, non risponderebbe più a quel genere di musica che altro non è, essa stessa, se non follia organizzata e completa.
Une folie organisée et complète, ecco la ricetta psicologica che consigliamo quest’oggi ai nostri Lettori, sotto forma di invito a scoprire, vedere o rivedere questo capolavoro rossiniano, lasciando da parte, almeno per qualche ora, le altre follie della vita, molto meno organizzate e dannatamente incomplete. Se ce la fate, correte a Pesaro in questi giorni, oppure cercatela dovunque si rappresenti. La versione DVD (in alta definizione) raccomandata è quella con la direzione musicale di Donato Renzetti e la Regia di Dario Fo, Ed. ROF.