TRANCELLULOIDE – Dizionario ragionato di cinema e ipnosi

Sono lieto di invitarti alla presentazione del mio nuovo libro

TRANCELLULOIDE – Dizionario ragionato di cinema e ipnosi

Questa nuova opera è – scusa l’immodestia – il primo dizionario al mondo di cinema e ipnosi. Unico nel suo genere, percorre tre secoli di cinema (dal 1897 al 2015!) e “analizza” oltre 300 film rari, difficilmente visti o vedibili, di grande successo o di nicchia, dove l’ipnosi è presente in modo totale, parziale e anche marginale. È un manuale agile e divertente che può trasformarsi in un piacevole corso per capire, attraverso il cinema, che cosa è e che cosa non è l’ipnosi.
Simona Argentieri e Simonetta Putti converseranno con me dopo una videoproiezione ispirata al libro.
Al termine dell’evento ci sarà un brindisi ipnocinefilo!

SABATO 21 MAGGIO 2016 – ORE 18.00
CINECLUB DETOUR – Via Urbana, 107, 00184 Roma (Metro Cavour)

Cineclub-Detour

Vie (e) regie dell’inconscio. Intervista a Giorgio Albertazzi

Estratto dell’intervista a Giorgio Albertazzi pubblicata nel Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 3, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2006.

Se il sogno è la via regia all’inconscio, come afferma Freud, molti artisti hanno trovato, forse prima di Freud, attraverso la loro creatività – come la psicoanalisi ha fatto con i suoi propri strumenti – la strada per conoscere i labirinti della vita interiore degli esseri umani.

Giorgio Albertazzi, che ammette candidamente di non sognare mai – o quasi, è stato ed è uno dei sommi ricercatori internazionali della rappresentazione scenica e cinematografica guidato (inconsapevolmente forse) dal demone ispiratore e illuminante – luciferino, dunque – dei misteri della psicologia del profondo.

Avvicinarsi ai segreti dell’inconscio pretende un corteggiamento quotidiano di opere letterarie fino a portarsele a letto, risvegliandosi e sognando ad occhi aperti di trasferirle sul palcoscenico o sul set, facendole passare prima dal filtro della propria imagerie.

Si tratta di utilizzare secondo me una trance peculiare degli artisti, che – quando sono tali – versano in uno stato perpetuo di reverie, che è in bilico tra il duende e l’ipnosi terapeutica.

Nel caso di Giorgio Albertazzi non soltanto il lavoro degli altri ma anche i suoi personali e originali scritti hanno configurato un mirabile e prezioso quadro che ci consentono di definirlo un vero e proprio “principe quaternario dell’inconscio teatrale e filmico”, con una strizzatina d’occhio a Jung, che “guarda caso” il Nostro ha anche conosciuto personalmente.

Un principe quaternario che si autodefinisce “un perdente di successo” che ha introdotto Dostoevskij e la Gradiva di Jensen-Freud nelle nostre case e vite televisive fin dagli anni ’70. E Shakespeare e “Il Silenzio delle sirene” e “Pilato sempre” e “Le Memorie di Adriano” e Pirandello e centinaia di altre rappresentazioni nei maggiori teatri italiani e stranieri.

Non c’è un autore o un testo da lui interpretato e/o diretto che non abbiano a che vedere con le problematiche e le meraviglie intriganti dell’inconscio. Basterebbe il suo dottor Jekyll per vincere una eventuale scommessa sull’importanza di psiche nella carriera di questo Senex-Puer in perfetto equilibrio tra saggezza e follia, raggiunta probabilmente mediante l’esperienza di impersonare anche mister Hyde, e riuscendo in quello che non riuscì al personaggio di Stevenson, che altro non è che un processo individuativo, una non-divisione tra l’essere e l’ombra, la ricerca della soluzione di continuo fra i due stati umani contrapposti.

Il Maestro ha capito che l’unico modo per partecipare al grande enigma della vita e dello spettacolo è quello di giocare nelle vesti del loser, dell’errante. L’unica possibilità per capire qualcosa della vita e dell’arte è di porsi nelle condizioni di giocarsi tutto sempre, perchè per capire il gioco bisogna cominciare a sapere come si sta quando si perde, quando si è disperati. Anche la vita riusciamo ad apprezzarla soprattutto quando rischiamo di perderla, o di perdere chi amiamo.

Mettersi in gioco nel caso di Albertazzi vuol dire ancora di puntare su testi difficili della roulette dello spettacolo (come rischiare insomma soltanto su un numero anziché accomodarsi sul rosso e nero).

Ma il destino degli iniziatori, di coloro che aprono la breccia nel muro che divide il vecchio dal nuovo, degli sperimentatori curiosi ed aperti a nuove conoscenze è sempre quello di sentirsi dei diversi, dei solitari che suscitano invidie ed incomprensioni ed in cambio ottengono una capacità introspettiva che li rende capaci di intravedere tutta la meschinità e la miseria umana. Questo è anche il compito e il destino del lavoro psicoanalitico, saper cercare per sè e per i propri psicoanauti le strade di una vita nuova, sostenendosi e sostenendo il lavoro comune nella ricerca della autenticità e della autonomia, per sedere insieme al tavolo della vita con il nostro personale doppio, che si chiami mr. Hyde oppure Dorian Grey ed aprire una “conversazione mai interrotta”, sotto il sole della creatività e senza mai dimenticare la lezione di Shakespeare che ci definisce tutti attori sulla scena dell’esistenza.

Queste sono le premesse psicoanalitiche che sono diventate un tessuto connettivo di grande fibra, resistenza e persistenza nelle amabili conversazioni con il Maestro Giorgio Albertazzi.

Recensioni – Da Paulo Coelho a Laurie Anderson, ventitré interviste raccolte nel libro di un analista junghiano

di Luciana Sica (Fonte: La Repubblica)

Robert Altman e James Hillman, Laurie Anderson e Paulo Coelho, Georges Lapassade e Judith Malina. E poi ancora: Alberto Oliverio, Dacia Maraini, Aldo Carotenuto, Bianca Garufi, Laura Morante, Paolo Rossi, Daniele Sepe, Ernest Lawrence Rossi… ventitré personaggi intervistati sul sogno e la psicoanalisi, una galleria di ritratti piuttosto insoliti – di professori, antropologi, registi, attori, scrittori, pittori, musicisti, insomma d’ intellettuali e artisti – raccolti in un libro che ha un titolo basato su un calembour facile facile ma di sicuro effetto: Di che sogno sei, in uscita da Liguori (pagg. 170, lire 35.000). L’ autore è il quarantaquattrenne Amedeo Caruso, specialista in medicina interna e psicoterapeuta di formazione junghiana, studioso di trance e d’ ipnosi, ma anche appassionato cultore di piaceri letterari, con un gusto vistoso per il cinema, il teatro, la musica. Si direbbe uno psicoanalista en artiste, e il suo libro in qualche modo gli somiglia, riflette senz’ altro l’ eclettismo intellettuale, o anche più semplicemente il divertimento dell’ autore, la passione di curiosare, d’ indagare nelle pieghe più segrete degli affascinanti personaggi che tanto gli piace incontrare. Ecco, divertissement è la parola più adatta per descrivere questo libro esile ma gradevolissimo: se manca ovviamente lo spessore del saggio scientifico, alcuni passaggi possono comunque interessare anche i lettori più avvertiti. In particolare, è molto ben condotta l’ intervista ad Alberto Oliverio, uno psicobiologo di fama. Le risposte sono precise, mai banali, sempre molto colte. Da sottoscrivere pienamente è il punto di vista di Oliverio sulla psicoanalisi: poco gli importa “delle diatribe, delle valenze terapeutiche, se cura o non cura, se è morta o vegeta o vive”. E’ ben altro che conta alla fine, non certe posizioni apocalittiche che dissimulano malamente interessi fin troppo scoperti. Dice Oliverio, col sano distacco del neuroscienziato: siamo comunque di fronte a “un fenomeno che ha sovvertito completamente l’ immaginario non soltanto artistico e culturale, perché non credo che esista un artista del Novecento che non abbia dovuto fare i conti con l’ inconscio… “Poi è entrato, per utilizzare un termine junghiano, nell’ inconscio collettivo insieme ad altre discipline scientifiche, come per esempio la dimensione relativistica del pensiero, che oggi si tende a sottovalutare”. A volte invece – in questo singolare libro di Amedeo Caruso – le emozioni vengono profuse a piene mani, quasi con spudoratezza. Mettiamo – per fare un solo esempio – l’ incontro con la Anderson, sofisticata musicista sperimentale e donna bella e misteriosissima, “indossatrice di voci”, com’ è stata più volte definita (in modo riduttivo). Con lei il discorso scivola su tracciati diversi, assume subito un che di poetico e soprattutto di religioso, da quei laghi ghiacciati che sogna tanto spesso all’ adesione al buddismo. E come osa concludere l’ autore del libro il suo incontro con la Anderson? Con una frase che di asetticamente professionale non ha proprio nulla, e somiglia piuttosto al malinconico addio di un ragazzo innamorato: “Bon voyage, Laurie, today and forever and a day!”.