Uffa, questi uomini! Dai tempi di Cocteau ad oggi, le cose tra uomini e donne non sono mica troppo cambiate. Ecco una buona ragione per mettere ancora in scena i due atti unici La voce umana (1930) e Il bell’indifferente (1949) del più poliedrico e dotato degli artisti francesi del Novecento. Tutelata da una regia invisibile ma accorta di Benoît Jacquot, la sempre leggiadra Adriana Asti si duplica nei ruoli dell’amante adorante e abbandonata, ora alle prese telefoniche col suo uomo all’altro capo del filo, poi con un uomo presente ma muto, impassibile, crudele. Misurarsi con La voce umana consiste inevitabilmente nel confrontarsi con un cavallo di battaglia e di razza filmico (Amore, primo episodio, 1948), quello della Magnani diretto da Rossellini. Un regista-uomo, che Nannarella amava e con il quale viveva una storia d’amore sofferta e agitata. Sembra quasi, nel film, che lei faccia le prove generali dell’abbandono (da parte di lui). I tempi erano quelli, la novità e la modernità dell’interpretazione della divina Asti consistono, a nostro parere, nella sua capacità di gestire la situazione con la necessaria, disarmata accettazione di un lui che se ne sta andando. Rivuole gli abiti, i guanti, anche se è disposto a lasciarle il cane. Ma è ormai lontano. Il filo del telefono è un cordone ombelicale lungo, troppo massiccio perché possa fungere da corda che si riavvolge dentro di lei, tremula e impotente ruota trainante. È per questo che capiamo la scelta del regista di mantenere il vecchio apparecchio, anziché sostituirlo con un cellulare. Lei chiede, umilmente, al tiranno dei suoi ultimi cinque anni di passione, di bruciare le sue lettere d’amore e di conservarle come fosse il suo corpo cremato, dentro un portasigarette di tartaruga, da lei regalatogli. Intende donargli se stessa in forma di cenere. Gli ripete sempre che è buono, che lo capisce, anche quando si accorge che lui è già con un’altra, forse sta parlandole dalla casa di lei. Lui la rimprovera anche di fumare troppo, lei ammette di aver preso delle pasticche per dormire la notte precedente, ma avrebbe voluto assumerne di più, per un sonno senza sogni, per non più svegliarsi. Ma la differenza che segna l’interpretazione della Asti da quella della Magnani, è la sua accettazione disperata sì, ma totalmente rassegnata e consapevole. Chi ama non perde niente, vuole dirci, anche se chi amiamo se ne va. Quando sappiamo amare è d’obbligo patire mostruosamente, solo chi ama arriva a tanto. Chi ci abbandona non ci merita, ma dobbiamo combattere fino alla fine perché non si separi da noi. Senza urla, come fa la Magnani, né troppe lacrime, ma con un pallido sorriso di risposta all’appello della fine, della morte, che tutti ci aspetta, facendo finta di aver organizzato noi le faccende dell’amore, che terminano sempre con un abbandono, fisico o sentimentale, da parte di uno dei due protagonisti. L’uomo è dunque il tristo assente-presente dei due atti unici, che vedono ne Il bell’indifferente una superficie inclinata e scivolosa su cui la seconda non-eroina non ha possibilità di attaccarsi senza cadere, non può camminarvi senza sbandare. Così Adriana Asti ha reso con semplicità “composita” il disinvolto e drammatico eterno femminino vittima del maschile di tutti i tempi. Impeccabile la scelta di una bella figura di “sciupafemmine” (l’attore Mauro Conte) assai somigliante ai tanti ritratti ambigui di crudeli fanciulli in fiore dipinti dal pittore Cocteau. Siamo certi che questo spettacolo sarebbe piaciuto senz’altro al regista teatrale Cocteau, come al drammaturgo. Vale dunque la pena di utilizzare un suo famoso epigramma, secondo cui l’artista è una specie di prigione da cui le opere d’arte fuggono, per descrivere la splendida fuga di questo doppio dramma dalla voce-prigione di Adriana Asti verso noi spettatori. Ma, se le mie parole non vi hanno convinto, allora guardatevi allo specchio sperando che rifletterà prima un momento, secondo l’idea di Cocteau, prima di rimandarvi la vostra immagine, maschile o femminile che sia.
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Recensioni – Le Stanze dei Sogni
Un dialogo costruito sui sogni-racconti degli spettatori che assistono allo spettacolo come in work in progress, una finestra sul profondo dove s’incontrano verità e visioni, tracce mistiche e scene di vita, incubi e sprazzi di illusioni. Ma se d’immaginario si tratta è un sentire borgesiano, finzione, dubbio amletico e domande eterne sulla vita e sulla morte; sogno karmico come possibilità di nuove aperture, sogno per eccellenza, cinematografico, alla Hitchcock. Fa da fondale una suggestione creata da stanze giocate su pannelli di klimtiana e magrittiana memoria… e Sabelli coinvolge il pubblico anche grazie alla bravura di Donato Cimaglia, percussionista di fine scuola jazz.
ROMA – 03/02/99 – M.G. –
Sabelli uno dei talenti più poliedrici dell’attuale teatro italiano, ha ideato un palcoscenico in movimento, una sorta di giostra/spazio temporale che gli permette di presentare sogni differenti in successione… Facendo forza sulle suggestioni visive ideate da artisti come Hopper, Magritte, Klimt, e sfruttando quelle sonore ideate dal vivo dal batterista jazz Donato Cimaglia, “Le stanze dei sogni” diviene una virtuosistica prova d’attore. Sabelli, grazie alla collaborazione di Amedeo Caruso, riesce a far rivivere sulla scena, tra gli altri Amleto, J.L.Borges ed Orson Welles, Athur Schintzler e Frank Sinatra, alla ricerca di un sogno comune…
PORTA PORTESE 12/02/99
Le stanze dei sogni propone un gioco a incastro fatto di sogni d’artista, sogni della grande letteratura e drammaturgia, sogni storici, musicali, pittorici e persino sogni del pubblico, che viene invitato a scriverli su un foglio di carta e a consegnarli all’attore, con l’eventualità che vengano poi letti e rielaborati sul palcoscenico.
La scena è mobile come una giostra, le suggestioni pure. Sabelli chiama in causa onirica Borges, Schnitzler, Hopper, Magritte, Klimt, ma anche Amleto che recita il monologo “essere o non essere” in chiave psicoanalitica, Frank Sinatra che rivive la sua vita come un sogno karmico e Orson Welles che incontra Karen Blixen e rimpiange di non avere avuto tempo per girare un film dal di lei racconto The Dreamers. Con Sabelli alla ribalta il batterista jazz Donato Cimaglia che firma le musiche di questo e suggestivo curioso “One man show” a cavallo dell’inconscio della durata complessiva di un’ora.
CORRIERE DELLA SERA 14/02/99 -Margherita D’Amico
Un universo di sogni violato, deriso, intrappolato in metafore esistenziali raccontato da illustri personaggi: Frank Sinatra, Orson Welles, Arthur Shintzler, Karen Blixen, Lou Andreas Salomè…
Ottimo il lavoro di Stefano Sabelli, artista a tutto tondo (attore, cantante, performer) seducente, accattivamnte, brillante nel continuo imporsi ed esporsi dei suoi protagonisti. Mai un attimo di noia, di insofferenza (…) I suoi Sogni corrono veloci intramati di ricordi, citazioni (Shakespeare, Borges, Stevenson) cullati dalla musica. Beethoven, Strauss, brani jazz e ballate popolari, celebri songs resi immortali dalla voce di Frank Sinatra.
IL TEMPO – 16/02/99 – Carmela Piccone
La scenografia è una giostra che al momento opportuno si ferma per far vivere, in un quadro, l’interprete del nostro arco vitale.. Stefano Sabelli, accompagnato dalle musiche di Donato Cimaglia, riesce a dar vita alla dotta e visionaria esternazione delle nostre coscienze con grande estro imprevedibilità e un pizzico di insana e avvolgente follia, cocktail necessario per interessare e interessarsi all’ego attoriale.
ITALIA SERA -17/02/99 – Paola Aspri
Se Caruso è bravissimo nell’ideare dei veri e propri monologhi che richiamano alla mente riferimenti letterari comuni, spesso anche coltissimi e raffinati, Sabelli è estremamente abile ad evitare il rischio di un lavoro troppo didascalico, fornendo chiavi di lettura immediate e suggestioni profonde, per mezzo di costumi, musiche, luci ed intonazioni vocali differenti. Quando la giostra gira si torna tutti bambini, si aspetta che si apra lo scenario seguente chiedendosi chi vi si troverà, come se si parlasse di amici e di elementi ormai propri dell’immaginario collettivo.
Splendida l’atmosfera marina con il vascello dove al tempo stesso siedono il Corsaro Nero ed Achab, Lord Jim e magari Nostromo, con il rumore del mare che si porta via anche i nostri sogni e le nostre fantasie di bambini e adulti.
IL GIORNALE D’ITALIA 25/02/99 – Gianluca Verlezza
Le stanze dei Sogni potrebbe essere definito una summa dei vari modi di fare teatro. Recitazione classica, musica dal vivo, proiezioni, canto, creano infatti un insieme suggestivo di immagini e atmosfere grazie anche a una scenografia funzionale: una giostra di stanze che ruotano, con cambi a vista, e che impegnano il protagonista a variare velocemente, epoca, sfondo e costume.
In scena i sogni confessioni di personaggi famosi di ieri e di oggi, tra gli altri, Frank Sinatra,Amleto, Borges, Schnitzler, Orson Welles, Andrè Lou Salomè. L’interpretazione di quest’ultima, che appare simile a una bambola meccanica sospesa in aria, è un po’ l’emblema della recitazione eclettica del funambolico Stefano Sabelli.
AVVENIMENTI 11/04/99 – Alma Daddario