Vie (e) regie dell’inconscio. Intervista a Giorgio Albertazzi

Estratto dell’intervista a Giorgio Albertazzi pubblicata nel Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 3, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2006.

Se il sogno è la via regia all’inconscio, come afferma Freud, molti artisti hanno trovato, forse prima di Freud, attraverso la loro creatività – come la psicoanalisi ha fatto con i suoi propri strumenti – la strada per conoscere i labirinti della vita interiore degli esseri umani.

Giorgio Albertazzi, che ammette candidamente di non sognare mai – o quasi, è stato ed è uno dei sommi ricercatori internazionali della rappresentazione scenica e cinematografica guidato (inconsapevolmente forse) dal demone ispiratore e illuminante – luciferino, dunque – dei misteri della psicologia del profondo.

Avvicinarsi ai segreti dell’inconscio pretende un corteggiamento quotidiano di opere letterarie fino a portarsele a letto, risvegliandosi e sognando ad occhi aperti di trasferirle sul palcoscenico o sul set, facendole passare prima dal filtro della propria imagerie.

Si tratta di utilizzare secondo me una trance peculiare degli artisti, che – quando sono tali – versano in uno stato perpetuo di reverie, che è in bilico tra il duende e l’ipnosi terapeutica.

Nel caso di Giorgio Albertazzi non soltanto il lavoro degli altri ma anche i suoi personali e originali scritti hanno configurato un mirabile e prezioso quadro che ci consentono di definirlo un vero e proprio “principe quaternario dell’inconscio teatrale e filmico”, con una strizzatina d’occhio a Jung, che “guarda caso” il Nostro ha anche conosciuto personalmente.

Un principe quaternario che si autodefinisce “un perdente di successo” che ha introdotto Dostoevskij e la Gradiva di Jensen-Freud nelle nostre case e vite televisive fin dagli anni ’70. E Shakespeare e “Il Silenzio delle sirene” e “Pilato sempre” e “Le Memorie di Adriano” e Pirandello e centinaia di altre rappresentazioni nei maggiori teatri italiani e stranieri.

Non c’è un autore o un testo da lui interpretato e/o diretto che non abbiano a che vedere con le problematiche e le meraviglie intriganti dell’inconscio. Basterebbe il suo dottor Jekyll per vincere una eventuale scommessa sull’importanza di psiche nella carriera di questo Senex-Puer in perfetto equilibrio tra saggezza e follia, raggiunta probabilmente mediante l’esperienza di impersonare anche mister Hyde, e riuscendo in quello che non riuscì al personaggio di Stevenson, che altro non è che un processo individuativo, una non-divisione tra l’essere e l’ombra, la ricerca della soluzione di continuo fra i due stati umani contrapposti.

Il Maestro ha capito che l’unico modo per partecipare al grande enigma della vita e dello spettacolo è quello di giocare nelle vesti del loser, dell’errante. L’unica possibilità per capire qualcosa della vita e dell’arte è di porsi nelle condizioni di giocarsi tutto sempre, perchè per capire il gioco bisogna cominciare a sapere come si sta quando si perde, quando si è disperati. Anche la vita riusciamo ad apprezzarla soprattutto quando rischiamo di perderla, o di perdere chi amiamo.

Mettersi in gioco nel caso di Albertazzi vuol dire ancora di puntare su testi difficili della roulette dello spettacolo (come rischiare insomma soltanto su un numero anziché accomodarsi sul rosso e nero).

Ma il destino degli iniziatori, di coloro che aprono la breccia nel muro che divide il vecchio dal nuovo, degli sperimentatori curiosi ed aperti a nuove conoscenze è sempre quello di sentirsi dei diversi, dei solitari che suscitano invidie ed incomprensioni ed in cambio ottengono una capacità introspettiva che li rende capaci di intravedere tutta la meschinità e la miseria umana. Questo è anche il compito e il destino del lavoro psicoanalitico, saper cercare per sè e per i propri psicoanauti le strade di una vita nuova, sostenendosi e sostenendo il lavoro comune nella ricerca della autenticità e della autonomia, per sedere insieme al tavolo della vita con il nostro personale doppio, che si chiami mr. Hyde oppure Dorian Grey ed aprire una “conversazione mai interrotta”, sotto il sole della creatività e senza mai dimenticare la lezione di Shakespeare che ci definisce tutti attori sulla scena dell’esistenza.

Queste sono le premesse psicoanalitiche che sono diventate un tessuto connettivo di grande fibra, resistenza e persistenza nelle amabili conversazioni con il Maestro Giorgio Albertazzi.

Di che sogno sei?

Di che sogno sei?Uno psicologo curioso e un po’ intrigante incontra attori e antropologi, professori universitari e rockstars, registi e scrittori, pittori e musicisti (e psicoanalisti) per conoscere i loro sogni e le loro opinioni sull’invenzione di Freud, Jung & Co. In conversazioni (senza vessazioni) inedite con il mondo contemporaneo creativo al di qua e al di là di Gibilterra – Robert Altman, Laurie Anderson, Aldo Carotenuto, Judith Malina, Paulo Coelho, Bill Frisell, James Hillman, Dacia Maraini, George Lapassade, Laura Morante, Paolo Rossi, Les White sono solo alcuni dei personaggi che s’incontrano nel libro – l’autore riesce a interrogare ciascun “oracolo” sulla sua verità più nascosta. Un lavoro che finalmente capovolge i rapporti psicoanalitici trasformando lo strizzacervelli in un paziente desideroso di sapere, ma non di guarire dalla mattia della domanda.

Allegato al volume un prezioso CD dei Naniga, psicogruppo strumentale di percussioni, indispensabile per accompagnare la lettura del libro e le inevitabili ri-percussioni che essa provocherà.

RECENSIONE di Luciana Sica