Al cinema con lo psicoanalista

Il numero 16 del Giornale Storico del CSPL che uscirà in concomitanza con il nostro convegno del 27 aprile 2013 dal titolo crisi.globale@psiche va in stampa proprio mentre l’Italia sta per configurare il nuovo volto del Governo del Paese, in questi tempi di crisi, con un risultato che di sicuro ci riserverà qualche sorpresa, come quella che abbiamo visto in questi giorni realizzata da un regista-scrittore che conosciamo bene, Roberto Andò. Abbiamo pubblicato sul n. 11 della nostra Rivista, nell’ottobre 2010, una lunga intervista con l’ artista, che riteniamo tra i migliori metteurs en scène italiani, capaci di rappresentare validamente il nostro cinema nel mondo e che abbiamo scoperto tra i più dotati di cultura e respiro internazionale, nonché tra i più importanti esponenti dell’assorbimento intelligente e creativo del distillato psicoanalitico. Il suo ultimissimo Viva la libertà è appunto un film sulla crisi della politica, che affonda però le sue ragioni anche nella crisi dell’identità non solo politica. Interpretato da un versatile, simpaticissimo Toni Servillo, nel doppio ruolo del politico in decadenza e del suo fratello gemello autore del libro L’illusione di vivere, questo film è davvero una medicina sana e utile per sedare i nervi e portare speranza nei cuori romantici seguaci di Psiche. Guarda caso i due fratelli (la genetica non è acqua) soffrono entrambi di patologie psichiatriche: l’onorevole Enrico Olivieri è affetto da sindrome depressiva che cura soltanto con farmaci; lo scrittore, da poco dimesso da una clinica psichiatrica, ha un importante disturbo bipolare, ma si capisce che oltre i farmaci ha sicuramente ricevuto diverse iniezioni di psicoterapia. Perché sarà proprio lui, Giovanni Ernani (i cognomi diversi sono forse dovuti al fatto che il fratello di successo avrà imposto questo cambio?), a dare il giro di boa del cambiamento al germano omozigote. Giovanni si sostituisce, su proposta del segretario personale (Valerio Mastandrea) del politico, quando quest’ultimo scompare dalla circolazione in preda a un pessimo disturbo dell’umore. Enrico si rifugia in Francia, dove sarà ospitato dall’ex fidanzata (Valeria Bruni Tedeschi), che lavora nel cinema, e in casa di lei ritroverà la pace e i valori perduti. Il fratello burlone – e mica tanto matto – si rende gradito ed amabile nei confronti di tutti gli amici e i galoppini dell’uomo politico. Per quello che dice e fa, commuove finanche il suo fedele collaboratore, l’unico a conoscenza dello scambio, insieme alla moglie del politico. Tra i due gemelli non corre – è il caso di dirlo – buon sangue, non si parlano da oltre trent’anni. Quindi il giuoco delle parti è ancora più intrigante per il soave esule dal manicomio, dove condurrà anche il “suo” segretario per una serata di ballo insieme ai suoi amici matti, un momento davvero esilarante del film. Inoltre, stabilirà un sodalizio dolce e tenero con la cognata-moglie. Strabilierà il solito segretario, che lo scopre sbirciando attonito e compiaciuto dal buco della serratura, mentre ha un colloquio privato con una donna politica tedesca e la invita a danzare un tango a piedi nudi. Sembra quasi una richiesta di perdono, da parte del regista, ma in nome dell’Italia tutta, in ricordo delle cronachistiche gaffes non troppo lontane di un premier che bistrattò la Cancelliera Merkel in più occasioni. Nel frattempo anche il vero politico avrà il tempo e il modo di fare le sue conquiste. Affascina ed è affascinato da una giovanissima assistente di regia del film – diretto dall’attuale marito della sua ex fidanzata – ed avrà anche un ritorno di fiamma con la stessa, che si scopre essere stata amata addirittura da entrambi i fratelli, un’estate al Festival di Cannes. Davvero poetico è però l’incontro con la figlia di lei, che gli si affeziona e con la quale ritrova una dimensione infantile e appassionata della vita. Mentre il finto politico delizia gli astanti con un haiku pronunciato con nonchalance e si ristora con improvvise e tranquillizzanti passeggiate al mare con la falsa moglie, l’esule francese lo chiama al telefono, forse per ringraziarlo, dato che legge gli eventi sui giornali che gli capitano sott’occhio in Francia. Ma ormai la rivoluzione psicologica è scoppiata. Il nuovo-vecchio segretario di partito, ricco della sua follia maniacale, entusiasma il pubblico ai comizi e sbalordisce un giornalista che gli vorrebbe “rubare” un’intervista, che si rivela invece un colpo gobbo contro il partito di maggioranza. Il fratello indegno canticchia o gorgheggia continuamente l’ouverture de La forza del destino di Verdi, che si trasforma in un canto di battaglia e di cambiamento radicale. Il suo refrain preferito è quello di responsabilizzare continuamente i suoi interlocutori e naturalmente gli elettori, con frasi del genere: chi vota i ladri o è un ladro o vuole diventare un ladro! e si affida a Brecht, durante un comizio, recitandone la poesia A chi esita, che consegniamo per intero ai nostri Lettori, più attuale e giusta che mai, grati a Roberto Andò per averla riesumata nel suo pregnante, educativo e divertente film:

Dici per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era cominciato.

E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.

Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso
un’apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può negarlo.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto?
Su chi contiamo ancora?
Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere più nessuno e da nessuno compresi.

O contare sulla buona sorte?

Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta oltre la tua.

Del finale non parleremo, ma pregustiamo il piacere che avranno gli spettatori nel sentirsi a loro volta padroni di immaginare cosa accadrà. Il film è pieno di speranza e di gioia, anche se in parte nasconde un’allegria dei naufragi di ungarettiana memoria. L’Europa sembra molto pericolante, con qualche Paese, come la Grecia, in piena ebollizione. La situazione politica è davvero preoccupante, e questa pellicola è un vero balsamo artistico per cercare di curare le ustioni cocenti dovute alle cattive amministrazioni, e contiene un pizzico di polverina magica per disporci al cambiamento. Così, in bilico tra follia e saggezza, sospeso tra leggerezza e trasgressione, questo film speciale fende e sorvola l’aria viziata d’Italia come un dirigibile, che sentiamo e salutiamo festosamente sopra le nostre teste, scossi dalla sua frizzante e progettuale forza psicoterapeutica, una vera sferzata di aria nuova per una estetica ecologia della mente.

L’altra sorpresa ai tempi della crisi globale – che ha avuto però una premonizione cinematografica – è rappresentata dalle dimissioni del Papa, che dal 28 febbraio 2013 si è trasformato in Papa Emerito. Il regista-profeta della storia è Nanni Moretti, che con il suo Habemus Papam del 2011 ha previsto, nella sua pellicola, il gran rifiuto di Benedetto XVI. Sono troppo lontani i tempi di Celestino V per poterli ricordare come un vero precedente, e soprattutto le ragioni storiche si confondono nella notte dei tempi. Ma il poeta, quale è ogni bravo regista come Moretti, non è forse un voyant? Sì, così ci ha insegnato Rimbaud: Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente attraverso una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi. E dobbiamo riconoscere che l’intuizione del regista di Habemus Papam è davvero sconvolgente. Così accadde per Stevenson, che aprì nel 1886, con Jekyll e Hyde, i cancelli della Psichiatria e della Psicoanalisi e commentò a proposito del suo libro: L’uomo non è veramente uno, ma veramente due. E dico due, perché le mie conoscenze non sono giunte oltre. Altri seguiranno, altri porteranno avanti queste ricerche e non è da escludere che l’uomo in ultima analisi, possa rivelarsi una mera associazione di soggetti diversi, incongrui e indipendenti. Non è forse questa la toppa della serratura della porta che ci fa entrare nella stanza delle personalità multiple? Ma che meraviglia questo neo-Papa francese interpretato da Michel Piccoli ritratto in tutta la sua umiltà e in tutta la sua splendida umanità. Potremmo quasi pensare, pur non volendo essere blasfemi, che il Pontefice Ratzinger abbia potuto trarre ispirazione da un personaggio così intenso e verosimile. Questo gesto così inaudito, inaspettato, incredibile, così paradossalmente fuori e dentro la storia, ci ha reso amabile e paterno questo Papa, che grandi simpatie o passioni non ha destato durante il suo pontificato lungo quasi otto anni. Questo gesto ha cancellato l’aria teutonica e restauratrice di una figura che sembrava soltanto ancillare rispetto al Papa precedente, già in odore di santità. Ma che grande differenza tra il vecchio Wojtyla, provato dalle molte malattie, dallo sguardo immobile e dalla fatica del vivere e questo Papa, pur anziano, che ha un guizzo di gioventù e di ribellione e si ribella alla crisi dell’età, al decadimento della forma fisica e, forte soltanto delle sue capacità psicologiche, dà scacco matto al Mondo e si ritira in piena consapevolezza sapendo di non poter continuare a governare la Chiesa come si deve. Che grande coraggio! Dopo di lui, anzi lui vivente, non potremo più dire morto un Papa se ne fa un altro! e neanche a ogni morte di Papa!, perché ormai, come ci ha insegnato il Papa tedesco, si può lasciare, anche in vita, umilmente e consapevolmente, il trono di Pietro. Lasciare una sede vacante e diventare il primo Papa moderno che vedrà il suo successore. Tutto ciò è anche un esempio da ammirare e da seguire da parte di quelli che verranno, se si dovesse verificare una debilitazione così profonda delle forze necessarie a reggere la Chiesa.

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Il Trono vuoto (Mondadori 2012) è anche il titolo del romanzo, scritto dallo stesso Andò nel 2012, sul quale si basa Viva la libertà. E ci piace a questo punto ricordare che un esponente “perdente” (e perciò a noi molto simpatico) della sinistra italiana ha commentato, a proposito di questo libro che l’imprevisto è ciò che ci può salvare, il sogno è la strada da costruire. Non è una follia, ma la capacità di alzare lo sguardo verso un orizzonte più alto di quello del meschino calcolo dei vantaggi e degli interessi; si tratta di ritrovare la voglia di crederci per raggiungere quegli obiettivi che abbiamo nel cuore. La politica, raccomanda Andò, deve uscire dal suo stato di “figlia della paura” per tornare a essere “un varco verso ciò che non è ancora accaduto”. E non è forse ciò che ha fatto anche il Papa?

Detto questo, possiamo confessare che Habemus Papam come film non ci è troppo piaciuto, perché, nonostante l’interpretazione perfetta di Michel Piccoli e la sbalorditiva profezia di Moretti, memorabile per questa premonizione, non ha toccato fino in fondo le corde del nostro sentire e vedere psicologico.  Ci saremmo aspettati altro e di meglio dal regista de La stanza del figlio (2001), che anche in quella occasione ha vestito i panni di un più che verosimile psicoanalista cui muore un figlio. Siamo rimasti così delusi da questo film, forse perché, nel film appena citato, la figura dello psicoanalista l’abbiamo vista così autentica, sofferta e vissuta, reale più del reale e umana come l’umano, che ci incantò. Ma vogliamo pensare che il professor Brezzi, psicoanalista consultato dal Vaticano, non sia neanche lontano parente dello psicoterapeuta Giovanni de La stanza del figlio. Non ci è piaciuto il professor Brezzi, che organizza un torneo di pallavolo con i Cardinali in Vaticano – del quale è rimasto prigioniero per ragioni di tutela estrema della privacy pontificia – e in attesa della guarigione del Papa. E nemmeno la magra figura che fa lo psicoanalista Moretti che, alla presenza dei Cardinali (inconcepibile!), effettua una seduta di psicoterapia col Pontefice al quale diagnostica una depressione e un vago senso di impotenza. Quindi consiglia di inviarlo alla ex-moglie (la migliore psicoanalista dopo di lui! …a detta dello stesso) che non sia a conoscenza dell’identità del paziente. La seconda psicoanalista migliore sulla piazza, interpretata da Margherita Buy, diagnostica un deficit di accudimento e prescrive la ricerca delle cause nel passato del paziente (illustre), che si presenta a lei come attore di teatro. La guarigione, invece, il Pontefice neo eletto la cerca a teatro, imbucandosi ad una rappresentazione de il Gabbiano di Čechov, che per giunta conosce a memoria. Pur essendo d’accordo con Moretti che di psicoanalisti ce n’è bisogno per tutti, politici e papi inclusi, non abbiamo apprezzato troppo questa riduzione della psicoanalisi all’avanspettacolo sportivo. Siamo consapevoli che in mezzo ai trita-cervelli mondiali ce ne siano molti definibili come macellai cerebrali e, pur avendo conosciuto psico-piumini dell’inconscio, capaci di dare solo spolveratine delicate alla mente dei pazienti, anziché una sana igiene mentale con lavaggi psicologici settimanali, crediamo che il ruolo dello psicoanalista-jocker in questo film non giovi troppo alla sua salute ed alla sua riuscita.

Dopo la Politica ed il Papato ricordiamo una crisi sentimentale tra le più belle e indimenticabili del cinema ad opera di (…)

L’articolo integrale sarà pubblicato sul numero 16 del Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura che uscirà in aprile in concomitanza con il Convegno del CSPL crisi.globale@psiche.

Pubblicato da

Amedeo Caruso

Presidente del Centro Studi Psiche Arte e Società, direttore dell'omonima rivista. Medico-Chirurgo, specialista in Medicina Interna, Psicoterapeuta, Esperto in Bioetica.